Recensione: Il giardino dei limoni, conferenza stampa di Eran Riklis al Torino Film Festival

Lemon Tree, film diretto dall’israeliano Eran Riklis, già autore di Zohar e La sposa siriana, racconta la storia coraggio di una donna, Salma, interpretata da Hiam Abbass, una vedova palestinese che vive in un villaggio della Cisgiordania. Scopre che il suo nuovo vicino di casa è il ministro della difesa israeliano. Quando, per ragioni di sicurezza, le viene intimato di abbattere quel giardino di limoni che rappresenta il suo unico sostentamento e le sue stesse radici, la donna non si da per vinta e porta la causa in tribunale.

La solidarietà inaspettata della moglie del ministro, mossa dalla complicità femminile e l’amore del suo giovane avvocato, riescono a sostenerla in una sfida che a tutti sembra impossibile.

Palestinesi ed isrealiani sono stati spesso protagonisti di film interessanti, soprattutto ai festival. Il tema è scottante, delicato, sempre di attualità e si presta facilmente al coinvolgimento o alla partigianeria.

Il giardino dei Limoni, presentato in anteprima al festival di Berlino 2008, e nella sezione fuori concorso alla 26ma del TFF, è un leggerissimo racconto, visto dall’altra parte del mondo, il Medio Oriente, paese in continua evoluzione; speranza, ottimismo, pessimismo, nuovi orizzonti, rivoluzioni, un giorno nuovo, il futuro, il passato, sono parole usate per descrivere la situazione di un luogo dove è accaduto di tutto.

Il giardino dei limoni (dal 12 dicembre nelle sale italiane) è un assurdo mix di dramma ed ironia, tragedia e commedia, luci ed ombre che contraddistinguono la storia di israeliani e palestinesi.

Di seguito, la versione integrale di alcune dichiarazioni del regista, rilasciate in conferenza stampa al Torino Film Festival:

Limoni VS Olivi

Non esistono molti film dedicati ai giardini e alle piante, anche se in quelli che raccontano della situazione tra Israele e Palestina si tratta spesso il tema della devastazione del territorio e dello sradicamento degli olivi. Io però volevo usare una pianta differente, sempre molto presente nella nostra terra, ma che non desse, con la sua presenza, una connotazione così forte e pesante. Il limone è una pianta semplice e leggiadra, dai frutti bellissimi ma che praticamente non si possono mangiare e soprattutto non è carica del significato morale e storico che ormai viene dato all’olivo.

Film non manipolato

I registi che affrontano il tema di questa guerra tendono a schierarsi da una o dall’altra parte. In questo io sono orgoglioso di me perché penso che fino a che questo sarà il modo di vedere il conflitto non si faranno mai dei passi avanti. Ho cercato nel mio film di mostrare le due realtà in contrapposizione senza manipolarle. Anche la scena degli alberi tagliati è reale, così come lo è la speranza che questi alberi un giorno possano tornare ad essere pieni di limoni.

La moglie del Ministro

La moglie del Ministro non è altro che il simbolo della volontà di entrambi i popoli che questa situazione cambi verso la pace. La gente è stanca, depressa, in crisi e vorrebbe tornare a vivere un’esistenza normale. D’altra parte però ogni giorno questi popoli si svegliano e devono fare i conti con un passato di sofferenza, di lutti e di sangue. Nasce quindi una contrapposizione tra quello che si vorrebbe per il proprio bene e ciò che ognuno deve ricordare come proprio vissuto. A causa di questo pensiero perpetuo cresce una sorta di egoismo negli animi delle persone, che le porta a non vedere e più spesso a non capire i bisogni e i coinvolgimenti di chi abita loro accanto.

Mai oltre la realtà

La realtà che il nostro territorio sta vivendo è conosciuta da tutti, ma questo non è il punto d’arrivo. Sicuramente è importante la presa di coscienza di un fatto così grave, ma è fondamentale andare oltre per poter risolvere il problema. Nel film questo aspetto è riflesso nella metafora del frutteto. La moglie del Ministro infatti trova il giardino dei limoni meraviglioso però non riesce ad andare oltre a questa bellezza, non trova e non capisce la necessità di doverlo distruggere.

Il finale

Non era mia intenzione creare un finale d’effetto, la mia intenzione era più che altro rendere l’ultima sequenza rappresentativa del film. Il Ministro si affaccia alla finestra e vede solo un muro:come tutti noi, non può andare oltre con il suo sguardo a causa di una decisione che lui stesso ha preso. L’immagine che ne esce di quest’uomo è di una persona imprigionata nel suo pensiero che non si sforza di andare oltre, così come il suo sguardo non può vedere al di là della sua casa. È un’immagine triste, la pena che quest’uomo suscita in me è enorme come enorme è questo muro da abbattere, il vero problema di questa guerra. Ho comunque cercato di dare un messaggio di speranza facendo percepire lapossibilità di una nuova crescita del frutteto.

Buongiorno Cinema!

Lavorare nell’arte in genere, e nel cinema in particolare, permette agli esseri umani di avere a disposizione un’arma da non sottovalutare. Viviamo in una società fatta di riassunti, che ci danno l’idea delle cose e dei fatti approfondendo raramente le tematiche: le notizie in questo modo ci occupano la testa solo per pochi istanti, e poi la vita frenetica ci porta a dedicarci a fatti più vicini a noi, alla nostra quotidianità. Non esiste in questo senso un’arma più diretta del cinema. Vedere un film che pone e propone questioni e riflessioni può essere una sveglia per l’animo assopito da una società che ci fanno apparire come perfetta. Il discorso che sto facendo non si riferisce solo alla conoscenza di ciò che accade nel mio paese, ma a tutti gli avvenimenti che accadono nel mondo, per questo penso che il
modo migliore per risvegliare le coscienze sia quello di far vedere uno scorcio di realtà, manipolandola il meno possibile e selezionandone le immagini più rappresentative.
Tutto ciò che può aiutare in questo senso è bene venga fatto. Mi avete detto voi, cosa di cui
ero all’oscuro, che un’associazione pacifista palestinese ha dato a dei bambini delle videocamere affinché possano riprendere tutto ciò che vogliono della loro realtà.

Adesso agire!

Una volta arrivati individualmente alla presa di coscienza di cui parlavamo prima la necessità diventa fare qualcosa, ognuno con i propri mezzi e ognuno con i propri limiti.
Non importa cosa ma bisogna fare e basta! Agire diventa necessario anche per alleviare i sensi di colpa di chi, come me, vive in modo normale, lontano dalle tensioni che invece i miei conterranei vivono quotidianamente. Dobbiamo partire dal concetto che l’occupazione e la guerra stanno strette a tutti.

Penso positivo

È difficile trovare degli aspetti positivi in questa guerra, allora ogni tanto, per tirarmi un po’ su e darmi una speranza penso al fatto che nel 1973, durante la guerra tra Egitto e Siria contro Israele, io avevo diciannove anni, e per sette mesi sono stato mandato nel deserto come soldato. Molti anni dopo ho presentato il mio film La sposa siriana proprio in Egitto, ero sereno quando sono arrivato, sentivo una spinta di libertà, di conquista dovuta al fatto che quel brutto momento era passato.

Bil’in My Love(di Shai Carmeli)

Non ho mai visto questo film ma conosco bene la storia di quel villaggio perché mia figlia è giornalista e attivista, per cui ogni settimana raggiunge il gruppo di persone che manifesta il venerdì nei pressi di Bil’in davanti ai militari che presiedono il cantiere del muro. Con il mio lavoro ho voluto rimanere fuori da queste realtà ma il motivo non è un tentativo di snobbare un lavoro altrui, anzi, ho sentito parlare molto bene di quel film. Il mio intento è quello invece di raccontare la stessa cosa in maniera differente, per far in modo che ci sia la possibilità di arrivare a spettatori sempre nuovi e diversi. Lo scopo è quello di fare film di generi diversi sullo stesso argomento, cosicché ci sia la possibilità di spiegare la stessa storia sia a chi si rispecchia di più nel genere documentaristico che della commedia e così via.

Prossimi progetti

Il cinema israeliano sta migliorando e ne sono felice ma siamo ancora lontani dalla fama che ormai ha la letteratura del mio paese. I miei prossimi lavori riprendono due libri israeliani. Il primo è Mission of Human Resources, il secondo invece Play Off, film un po’ più leggero che narra di un bambino sopravvissuto all’olocausto che dedica la sua vita allo sport e diventa prima un buon giocatore, poi allenatore della nazionale israeliana di basket.
Anche questo film vuole dare la speranza a chi ha passato o sta passando un’esperienza traumatica e dovrà affrontare un giorno il presente, ricominciando a vivere e ad avere la speranza di un futuro migliore.

Amore, onestà e verità

Il film è stato fatto con amore, onestà e verità, tre termini diventati quasi fuori moda. Questo non perché io sia all’antica, ma perché penso che queste siano le parole da utilizzare quando si parla di una situazione esplosiva come quella del Medio Oriente. Ho cercato di mantenere alto il rispetto nei confronti del prossimo, senza disprezzare l’una o l’altra parte, ma fornendo una rappresentazione veritiera. Il film punta su concetti di dialogo e ascolto e cerca di andare al di là della situazione presentata dai media. Parlare del conflitto tra Israele e Palestina è molto difficile, per questo il mio è stato un tentativo di dire con semplicità che è necessario guardare, conoscere, comunicare, essere consci di quello che succede altrove.

Un film un po’ italiano

Non credo troverete il film deprimente. Posso dire che è un po’ italiano per quel modo che avete voi di affrontare la vita, che è fatta di aspetti positivi e negativi.

L’attrice protagonista

Sono sicuro che vi innamorerete dell’attrice protagonista, io stesso la amo. È una persona fantastica, speciale che ti coinvolge per la sua grande umanità.