Recensione: Ballare per un sogno

Lauryn è una ragazza di provincia, che vive in una cittadina dell’Indiana sola con suo fratello, da quando è rimasta orfana dei genitori. Mentre Joel (John Reardon) ha ereditato dal padre l’officina, Lauryn (Mary Elizabeth Winstead), che per sopravvivere lavora come contabile dal fratello, ha ereditato dalla madre la passione per la danza.

Lauryn ha vent’anni e seppur ha paura di tentare la carriera di ballerina sapendo di dover lasciare la sua cittadina e suo fratello, il suo sogno la porta comunque a Chicago, alla prestigiosa scuola di musica e ballo. Qui, con tenacia e grinta, ma poca femminilità, fa un provino, ma con scarso successo.

Disperata, non volendo tornare a casa, accetta prima di andare a vivere a casa di Dana (Tessa Thompson), una ragazza scartata come lei ai provini, poi di lavorare come contabile presso il Club Ruby, un locale in cui Dana si esibisce in compagnia di altre ballerine in un remake della danza burlesque e un bel ragazzo di nome Russ (Riley Smith) , di cui si invaghisce subito, fa il dj. La nuova vita di Chicago porterà Lauryn a riordinare le priorità della propria vita, a rinforzarsi e a raggiungere il suo sogno.

Ballare per un sogno (Make it Happen) è una drammatico a colpi di danza, diretto da Darren Grant, che ammicca al pubblico più giovane come i suoi precursori Step Up (stesso sceneggiatore) e Save The Last Dance senza avere una storia convincente alle spalle e nemmeno lo spessore delle coreografie, che hanno reso gli altri due film dei veri cult dell’universo giovanile.

Il film fa acqua da tutte le parti, perché la storia è telefonatissima, e non solo il prevedibile happy end, tutte le battute sono scontate, banali e semplici (dialoghi che farebbero impallidire anche Moccia), i personaggi insulsi e stereotipati (il burbero e rozzo di provincia, il cittadino affascinante, la rivale stupida e oca), e le coreografie, che dovrebbero essere il punto forza del film, peggio delle peggiori di Amici di Maria De Filippi (tranne l’ultima che si salva, ma non è minimamente all’altezza dei gran finali dei film di danza degli ultimi anni).

Concludendo: fra attori mono espressivi, situazioni al limite della realtà (il fortunoso incontro con Dana, che si rivela per la protagonista una manna dal cielo, visto che le offre vitto, alloggio, un lavoro da favola, che si trasforma nella possibilità della sua vita), atmosfere poco coinvolgenti e messaggi buonisti che si sprecano (l’idea centrale del film è elementare: se ci credi nella vita realizzerai i tuoi sogni), Ballare per un sogno si è rivelato una serie di immagini lunga 90 minuti che mi hanno profondamente deluso.

Se vi aspettate le emozioni di Step Up e del suo seguito scordatevele.