Misure straordinarie, recensione

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John Crowley (Brendan Fraser), grazie anche all’amorevole supporto della moglie Aileen (Keri Russell) sembra ormai lanciato verso una promettente carriera, ma l’improvvisa scoperta che i suoi due bambini di nove e sette anni sono affetti da una rarissima e incurabile malattia genetica, spinge l’uomo a lanciarsi anima e corpo in un progetto per salvare la vita dei figli, abbandonando ogni prospettiva di carriera coltivata sino ad allora, per vagliare le possibilità di una costosa cura sperimentale.

L’idea è quella di supportare il Dr. Robert Stonehill (Harrison Ford) l’unico che sembra aver sviluppato una cura senza però avere i mezzi per testarla, cura per quello che è conosciuto come il Morbo di Pompe, malattia degenerativa e debilitante che colpisce il tessuto muscolare e il sistema nervoso. Stonehill è un brillante ricercatore dai metodi poco ortodossi e per nulla in sintonia con le rigide linee-guida delle case farmaceutiche, e quindi colpito dall’ostracismo di gran parte della comunità scientifica.

Crowley applicherà le sue capacità organizzative per costruire intorno a Stonehill un’infrastruttura capace di supportare sino in fondo la sua ricerca, una vera e propria azienda biotecnologica, che si scontrerà ben presto non solo con le potenti lobby farmaceutiche, ma anche con il sistema sanitario nazionale.

Il regista Tom Vaughan, all’attivo un corposo curriculum televisivo a base di serial e tv-movie, adatta per il grande schermo una storia vera ed il saggio The cure della giornalista del Walls Street Journal Geeta Anand, sulla scia di film come L’olio di Lorenzo, Vaughan cerca di spiegare quale immani difficoltà affrontano quotidianamente le famiglie che si trovano a lottare con delle malattie praticamente ignorate dalla grandi case farmaceutiche.

Misure straordinarie ha un’evidente impostazione televisiva, non per niente oltre al regista, tra i produttori c’è la neonata divisione cinematografica del prestigioso network statunitense CBS. L’argomento viene affrontato con la massima serietà ed accuratezza, e i due protagonisti Fraser e Ford si impegnano nel rendere lo script il più digeribile possibile, vista l’importanza del tema trattato e i numerosi riferimenti non solo scientifico-clinici, ma anche burocratici che la Crowley e Stonehill hanno realmente affrontato. Quella che purtroppo resta in ombra, e oltremodo sacrificata dallo script, è la talentuosa Keri Russell, in questo frangente decisamente sottoutilizzata.

Molti  si riconosceranno nelle difficoltà incontrate dai Crowley, immedesimandosi come successe a suo tempo con la storia dei coniugi Odone, certo il film ha vistosi ritmi televisivi che ne appesantiscono in parte la fruizione, ritmi che sul grande schermo tendono ad amplificarsi, ma detto ciò l’importanza di operazioni come queste è indubbia, e se ogni tanto è il cinema ad occuparsene, invece dell’onnipresente piccolo schermo, la cosa non può che far piacere.