In Italia abbiamo la miniserie Il Mostro Di Firenze, degna di molti crime internazionali

Che il mostro di Firenze sia una robetta che molti Paesi ci invidiano è indubbio. Il “mostro”, termine coniato dalla stampa ma che ha fatto tanto comodo agli investigatori ha messo in crisi anche la popolarità sinistra di Zodiac, è stato d’ispirazione per molte trasposizioni, ma quella andata in onda nel 2009 su Fox Crime è degna di nota.

Il Mostro Di Firenze, questo il titolo, apre ogni puntata – è una miniserie da 6 episodi – con un canto quasi evangelico de Le Orme, band progressive rock di cui dovremmo andare fieri. Possiamo citare qualche nome interessante: Ennio Fantastichini interpreta Renzo Rontini, padre di Pia che, purtroppo, morirà per mano del feroce assassino.

Nicola Grimaudo interpreta Silvia Della Monica, procuratrice che indagò sui primi omicidi del mostro. C’è anche Marco Giallini nei panni del superpoliziotto Ruggero Perugini. La trama è costruita intorno alla vita di Pia Rontini e delle battaglie che suo padre condusse per arrivare all’arresto del mostro, riconosciuto dagli inquirenti in Pietro Pacciani interpretato da Massimo Sarchielli.

Perché Il Mostro Di Firenze è degno di tanti crime internazionali? In Italia siamo un po’ viziati. Usiamo la parola “crime” e ad essa associamo tutto ciò che arriva dall’altra parte dell’oceano. Probabilmente lo facciamo con ragione, visto che in Italia non c’è tutta l’ossessione per i cold case e i serial killer che hanno quei matti degli americani.

Eppure Il Mostro Di Firenze, miniserie televisiva curata da Antonello Grimaldi, è davvero ben fatta. Una fotografia che si fa rispettare, una colonna sonora ben bilanciata e un’interpretazione impeccabile degli attori. Montaggio e sceneggiatura, alla stessa maniera, non si fanno mancare nulla. Le 6 puntate non hanno punti morti e anzi, la voglia di arrivare alla soluzione di tutti i casi viene caricata con dovere di puntata in puntata fino alla fine.

C’è da mettere in chiaro una cosa: la miniserie di Grimaldi non risolve il caso, perché di fatto il mostro di Firenze non fu mai trovato, nemmeno in Pacciani. Il Mostro Di Firenze serve a riepilogare tutto il labirinto giudiziario e investigativo con il linguaggio della fiction per presentare alle nuove generazioni un caso che ha terrorizzato l’Italia per 30 anni.

Le scene di sangue sono inevitabili, ma le parti più cruente le sentiamo solamente grazie ai rumoristi. Il Mostro di Firenze vale dunque la pena? Sì, non ha nulla da invidiare – ripetiamo – a tante serie di culto che arrivano dalla Casa Bianca o dal resto d’Europa.

Il Caso Pantani di Domenico Ciolfi, due cose da dire

Il Caso Pantani di Domenico Ciolfi può deludere, e tanto. La “colpa” è conoscere la vicenda giudiziaria, l’inferno del Pirata ed essere dotati di una certa empatia. Ancora, c’è da dire che quando sono stati resi noti il trailer e il poster ufficiali le aspettative erano alte.

Nel film di Domenico Ciolfi troviamo il taglio documentaristico, il live action, la ricostruzione e la voce fuori campo, tutto buttato dentro in maniera anche disordinata. Sì, perché l’idea di scegliere tre attori per rappresentare le tre tappe fondamentali della carriera di Marco Pantani poteva andar bene se solo si fossero scelti interpreti veramente in grado di calarsi nella parte.

I tre attori

E no, certo che interpretare un uomo vessato dall’ingiustizia non deve essere per niente facile, ma la soluzione di Domenico Ciolfi vince nelle intenzioni ma perde nelle manie di grandezza. Tre attori: Brenno PlacidoMarco Palvetti e Fabrizio Rongione: il primo è il Campione, il secondo è la Vittima, il terzo è l’Uomo in una pozza di sangue.

Brenno Placido e Fabrizio Rongione si possono accomunare per la poco credibile interpretazione. Brenno fa la figura dell’ingenuotto, messo lì a interpretare un uomo troppo grande e tormentato per liquidare tutto con la recitazione. La sua, infatti, è piatta e per fortuna le scene che lo riguardano sono poche.

Rongione, peccato, ci ha messo quell’enfasi che non era necessaria. La morte di Fabrizio Pantani non aveva bisogno del teatro, dei dialoghi sospirati e dello sguardo pulp: si poteva anche stare in silenzio, ma Fabrizio Rongione ci ha messo quella voce impostata – e doppiata, soprattutto – di chi pensa solo a recitare anziché a interpretare. E no, in questo caso i due termini non possono essere sinonimi.

Marco Palvetti vince, e tanto. Palvetti è il Pantani tormentato dopo Madonna di Campiglio, che vede nemici ovunque e che si sente un uomo finito, un atleta in declino e che rosicchia il suo degrado giorno per giorno. La sua recitazione non richiede sforzi né accettazione: funziona, e tanto.

I flashback e il ruolo di Francesco Pannofino

Vedere Il Caso Pantani di Domenico Ciolfi significa distrarsi molto spesso per leggere le didascalie dei flashback, il che comporta una ricorrente perdita dell’orientamento. Non è inaccettabile, ma in tanti momenti del film questo avviene troppo spesso e il filo logico si perde per strada.

Nel frattempo c’è un Francesco Pannofino, avvocato, che sfoglia le carte del processo dalle quali il film trova il suo percorso. Le deposizioni diventano le voci fuori campo che guidano alla comprensione delle scene che andremo a vedere. Tutti lamentano la pesantezza dell’attore e doppiatore, ma è bene sapere che ne Il Caso Pantani di Domenico Ciolfi è proprio Pannofino a salvare tutto con le ricostruzioni finali, il che è un vero peccato.

5 film su serial killer da non perdere

Su Netflix impazza la mania per gli assassini seriali, per questo abbiamo deciso di proporre 5 film su serial killer che hanno fatto la storia, alcuni famosissimi ed alcuni meno famosi. Recentemente abbiamo parlato della monografia su Richard Ramirez e del caso di Elisa Lam al Cecil Hotel, oggi affrontiamo l’argomento in un contesto più cinematografico. Ecco 5 film su serial killer da non perdere assolutamente, disponibili su tutte le piattaforme streaming più utilizzate.

Monster (2003)

Monster è un film di Patty Jenkins del 2003. La sceneggiatura è ispirata alla storia criminale di Aileen Wuornos che tra il 1989 e il 1990 uccise sette uomini. Per questo fu condannata alla pena capitale tramite iniezione letale nel 2002. Nei panni della serial killer statunitense troviamo una straordinaria Charlize Theron.

Evilenko (2004)

Evilenko è un film di David Grieco del 2004. La trama si ispira al serial killer Andrej Romanovič Čikatilo che tra il 1978 e il 1990 seminò 52 vittime. Nei panni dell’assassino troviamo Malcolm McDowell in un’eccezionale interpretazione. Del resto avevamo già apprezzato McDowell in Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, non è così?

Primo Amore (2004)

Primo Amore di Matteo Garrone non racconta la vicenda di un serial killer ma di un uomo dalle forte perversioni. La trama, infatti, è ispirata al libro Il Cacciatore di Anoressiche di Marco Mariolini. Quest’ultimo è il protagonista di un caso giudiziario senza precedenti. Mariolini, infatti, era ossessionato dall’avere relazioni con donne molto magre: ogni sua compagna veniva costretta a perdere tantissimi chili fino all’esasperazione. Per questo Mariolini veniva sempre abbandonato. Nel film viene ricostruita la relazione tra Mariolini e Barbara, che finirà nel sangue.

Dahmer – Il Cannibale di Milwaukee (2002)

Dahmer – Il Cannibale di Milwaukee è un film di David Jacobson. Come il titolo suggerisce la trama si ispira alla storia criminale di Jeffrey Dahmer che tra il 1987 e il 1991 uccise 18 persone. Dahmer era solito attirare le sue vittime nella sua abitazione per poi drogarle, stuprarle, sezionarle e mangiarle. Il “mostro di Milwaukee” fu condannato a morte nel 1994. Nel film il ruolo dell’assassino è interpretato da Jeremy Renner, e non sono presenti le scene del cannibalismo che hanno determinato la vicenda giudiziaria di Dahmer negli anni ’90.

Zodiac (2007)

Con le sue 5 vittime accertate e 2 sopravvissute, il “killer dello zodiaco” terrorizzò la California dal 1968 al 1969. Nel 2007 è uscito nelle sale Zodiac, firmato dal regista David Fincher che oltre a ricostruire gli omicidi dell’assassino che ancora oggi è senza un nome e senza un volto, si concentra sui personaggi legati alla vicenda giudiziare. Zodiac è un film lungo e complesso e rientra di diritto tra 5 film su serial killer da guardare assolutamente.

The Neighbor di Aaron Harvey – Recensione

the neighbor di aaron harvey

The Neighbor di Aaron Harvey è un film in cui domina il silenzio. Dalle prime scene entriamo nella vita di Mike, che nella pacatezza della sua mezza età vive giornate tutte uguali tra un lavoro in remoto e una moglie affascinante e troppo impegnata nel suo mestiere di insegnante. Arriverà qualcosa, qualcuno, che romperà la routine quotidiana creando un percorso apparentemente a senso unico.

La trama

Mike ha lo sguardo profondo, la postura rigida, è appassionato di giardinaggio e lavora come informatore farmaceutico scrivendo bugiardini dal suo computer. Sua moglie, Lisa, è un’insegnante dallo sguardo giudicante che sfoggia sorrisi passivo-aggressivi che fanno contrasto con l’espressione piatta del suo Mike. Insieme vivono una routine soffocante. Un giorno arrivano i nuovi vicini: Scott e Jenna sono giovanissimi e bellissimi. Ammiccano tra loro, si scambiano effusioni e sorrisi e si presentano come la coppia felice e appagata.

Lui, Scott, vende macchine sportive e irrompe nella vita di Mike cercando di vendergli uno dei suoi modelli. Mike distingue subito l’animo gentile di Jenna da quello petulante di Scott. Mike spia la coppia dalla finestra del suo studio, fino ad accorgersi che Scott è un uomo violento.

Il graduale avvicinamento a Jenna lo condurrà in un percorso senza via d’uscita.

La sensazione di aver sbagliato tutto

Ciò che accade a chiunque guardi il film è empatizzare con Mike. Nel suo sguardo scopriamo quelle sensazioni contrastanti che oscillano tra la voglia di riscatto e il senso di colpa. Ci imbarazziamo per lui e nel suo biascicare le parole troviamo le nostre insicurezze. Eppure quegli occhi benevoli danno sicurezza, e proprio per questo Jenna non fa che ringraziarlo per le sue premure.

Ci innervosiamo con Scott, che non perde occasioni per pavoneggiarsi e cercare di smerciare le sue macchine anche a persone appena conosciute. Vorremmo farlo a pezzi, Scott, proprio come vorrebbe fare Mike. La storia prende una strada in salita e diventa sempre più difficile restare indifferenti: Mike vive la sua solitudine come se fosse la sua zona di comfort, ma Jenna gli fa scoprire la bellezza della libertà emotiva.

Cosa non va?

A tratti The Neighbor di Aaron Harvey è troppo lento per sopportare la tensione. Una storia qualunque può essere normalizzata un po’ meno, ma il regista ha dimostrato, tuttavia, una grande abilità nel gestire i ruoli e nell’offrire un classico come la crisi coniugale e la violenza domestica in modo elegante e commovente.

Amy di Asif Kapadia: questa sera su Simulwatch il documentario su Amy Winehouse

amy di asif kapadia

Amy di Asif Kapadia è il documentario sul genio di Amy Winehouse, la voce di Back To Black scomparsa nel 2011 a soli 27 anni. Il docufilm andrà in onda questa sera, lunedì 19 ottobre, su Simulwatch, l’app ufficiale di Coming Soon disponibile su Google Play e App Store. La trasmissione inizierà alle ore 19.

Nel 2016 Amy di Asif Kapadia ha vinto il premio Oscar come Migliore Documentario. Alla sua realizzazione ha partecipato anche la famiglia della cantautrice britannica, fornendo al regista tanto materiale utile a ricostruire la vita dell’artista. Gli eredi, infatti, avevano già apprezzato il documentario su Ayrton Senna firmato dallo stesso regista e per questo avevano dato la benedizione per la realizzazione di Amy. Qualche anno dopo, tuttavia, il padre dell’artista aveva preso le distanze dal progetto perché non lo trovava fedele alla personalità della figlia.

Amy Winehouse è morta il 23 luglio 2011. Il suo corpo senza vita era stato trovato dalla guardia del corpo Andrew Morris nella sua stanza. La notte prima i due, che vivevano insieme, avevano ordinato del cibo indiano ad asporto e l’artista l’aveva consumata in camera sua. Il mattino successivo Morris la trovò sul letto e non si insospettì, trovandola addormentata. Più tardi il bodyguard, nel notare che Amy Winehouse si trovava nella stessa posizione, si insospettì e le controllò il polso.

Attorno al letto della cantautrice c’erano tante bottiglie di vodka, una circostanza che sottolineava la nuova dipendenza da alcol di Amy Winehouse, che aveva chiuso con le droghe ma aveva ripreso con gli alcolici. Morris riferì che nonostante ciò, la sera prima della morte la cantautrice appariva normale. L’unica anomalia era dovuta al fatto che Amy Winehouse stesse guardando – per la prima volta in vita sua – una serie di video di se stessa da YouTube.

Peculiare di Amy di Asif Kapadia è il tipo di narrazione: nessuna voce fuori campo, nessun commentatore a fare da collante tra le immagini. A raccontare la storia di Amy Winehouse è lei stessa, grazie a filmati degli esordi e interviste, ma soprattutto grazie alla sua musica, quello stile che aveva riportato il soul in vetta alle classifiche dopo decenni.

Guardare L’Immortale di Marco D’Amore è propedeutico per Gomorra 5? (spoiler alert)

Al termine della quarta stagione di Gomorra troviamo l’invito a guardare L’Immortale di Marco D’Amore, film che riparte dal finale della stagione 3 e che, teoricamente, ci prepara alla quinta stagione della fortunata serie tv ispirata dal libro di Roberto Saviano.

Spoiler alert

Al termine della terza stagione, infatti, abbiamo tutti sentito un tonfo violento al petto: Genny Savastano (Salvatore Esposito) uccide Ciro Di Marzio (Marco D’Amore) sotto la pressione del clan di Sangue Blu che vuole vendicare l’omicidio della sorella. Non diremo altro, ma quando gli sguardi di Genny e Ciro si incontrano per l’ultima volta, prima che il corpo di Ciro venga gettato in mare, incontriamo uno dei tanti punti zero della serie.

Ciro, teoricamente, muore, ma quando le stesse immagini vengono riprese al termine della quarta stagione possiamo notare un dettaglio: le braccia di Ciro, sott’acqua, si muovono. Ecco L’Immortale di Marco D’Amore, un film che probabilmente nasce dall’esigenza di cambiare la storia e dal desiderio del pubblico. Non c’è Gomorra senza Ciro Di Marzio. La quarta stagione della serie è buona, ma orfana.

Ne L’Immortale di Marco D’Amore Ciro di Marzo si è salvato perché il proiettile esploso da Genny si è fermato a pochi centimetri dal cuore. Parte in Lettonia, dove partecipa alla criminalità organizzata locale. Nel frattempo ripercorre la sua vita, specialmente quando incontra Bruno che negli anni dell’infanzia gli ha fatto da maestro.

Lo spin-off è dunque un viaggio tra l’infanzia di Ciro e la sua nuova vita, un’immortalità che lo condanna sempre a rivedere i suoi rapporti e soprattutto quello con se stesso. Probabilmente L’Immortale di Marco D’Amore serve a fare il punto dell’esistenza di Cirù prima di ripartire con la quinta stagione, che arriverà nel 2021.

Serve a farci capire, soprattutto, che Ciro è sopravvissuto e che Genny lo sa, come dimostra l’ultima scena del film. Nel frattempo Ciro si è rialzato dopo il grande terremoto di Napoli, ha partecipato ad agguati che era ancora bambino, ha sfidato l’imbarcazione della Guardia di Finanza gettandosi in mare per permettere a Bruno di scappare col carico, il tutto prima di diventare il boss di Secondigliano.

Sì, L’Immortale di Marco D’Amore è propedeutico per Gomorra 5, ma anche necessario per rompere l’attesa.

“Boycott Mulan”, la protesta del pubblico contro Disney per i ringraziamenti alla Cina

boycott mulan

Ricorre spesso, nelle ultime ore, il messaggio Boycott Mulan. Di cosa si tratta? Come spiega Ansa la controversia interessa Stati Uniti Cina. Disney, nei ringraziamenti, ha inserito la Cina per aver concesso l’autorizzazione alle riprese, in particolare sei agenzie governative dello Xinjiang dove le cose, in termini di diritti dell’uomo, non vanno granché bene.

Era luglio 2020, ad esempio, quando Huffington Post dedicava allo Xinjiang un articolo in cui si parlava di una “Cina Islamica” con la presenza di campi di concentramento. La BBC aveva documentato immagini raccapriccianti che hanno spinto gli Stati Uniti a limitare le importazioni. In ultima battuta, Washington ha deciso di vietare le importazioni di beni provenienti dal lavoro forzato.

In tutto questo background che qui non approfondiremo nasce il movimento Boycott Mulan: secondo i sostenitori, con quel ringraziamento della Disney allo Xinjiang si stanno voltando le spalle a un massacro e a un genocidio in atto, che anziché una dura condanna da parte della casa di produzione ricevono anche una strizzata d’occhio, un ringraziamento nonostante le ingiustizie e nonostante i massacri e i morti.

Ricordiamo che Mulan, live action ispirata al film d’animazione degli anni ’90, è uscito sulla piattaforma Disney+ senza passare per le sale cinematografiche per via della pandemia del COVID-19. In Italia è disponibile dal 4 settembre. Ciò che ha fatto indignare tante persone, dunque, è il ringraziamento dei produttori allo Xinjiang nei titoli di coda.

L’attivista uiguro Tahir Imin, residente a Washington, ha spiegato:

Questo film è stato realizzato con l’assistenza della polizia cinese mentre allo stesso tempo questa stessa polizia commetteva crimini contro la popolazione uiguri a Turpan.

Per il momento la Disney non ha replicato e la rabbia e il disgusto non si placanoMulan è stato girato in circa venti location della Cina e gli ambienti che hanno scatenato la rabbia sono il deserto di Mingsha Shan e la valle di Tuyuk che si trovano in prossimità della città di Turpan, luogo dove sono distribuiti i campi di concentramento che la Disney, con quel ringraziamento, sembra voler legittimare.

Lo slogan Boycott Mulan non si ferma, intanto, proseguendo la sua corsa sui social.

Capri Revolution, l’introspezione della guerra

capri revolution

Guardare Capri Revolution con la convinzione di star per visionare una cronistoria della Grande Guerra può essere un errore. Il film di Mario Martone racconta la voglia di trascendenza instillata in una giovane contadina, analfabeta e ma non ingenua, e del suo incontro con Seybu e con la sua gente, una comune di giovani nordeuropei.

Lucia, questo il nome della guardiana di capre, non ha mai visto un gruppo di persone avvezze al nudismo, che mangiano vegetariano e che cercano nel Sole un dio da adorare e venerare. Per questo, favorita da un giovane medico progressista e socialista, si spinge sempre di più verso quel mondo che ai suoi occhi si presenta incantato e libero.

Nel suo background ci sono i doveri di famiglia, l’uomo ricco da “maritare”, la tradizione e il lavoro, e soprattutto dall’altra parte del mare sta per arrivare la Grande Guerra, l’inutile strage, la morte e la paura. Sarà proprio Carlo, il medico interpretato da Antonio Folletto (vi dice niente ‘o Principe di Gomorra?), a vedere nella ribellione di Lucia una grande forza e per questo cerca di convincerla a studiare per diventare infermiera, ma senza risultati.

Il resto sarà il caos calmo ma teso di un pericolo imminente: Lucia è sempre più inserita nella comune di Seybu e per questo perde i contatti con la sua famiglia nella quale i fratelli, che per lei avevano previsto un altro destino, oramai la ripudiano anche nel momento in cui, chiamati alle armi, vengono invitati dalla sorella a partire clandestinamente per l’America.

Il mondo di Lucia è un universo disordinato: lei, interpretata dalla bravissima Marianna Fontana, diventa il pendolo che oscilla tra la solitudine e lo stato di necessità. Nella comune ha scoperto se stessa, ma la trascendenza l’ha allontanata dalle sue origini e per questo correrà dalla madre per chiederle perdono.

La storia raccontata in Capri Revolution prende ispirazione dalla storia del pittore e utopista tedesco Karl Wilhelm Diefenbach che proprio a Capri fondò una comune dopo aver fallito la sua missione a Vienna (la comune originariamente fondata andò in bancarotta) e sull’isola trascorse i suoi ultimi giorni.

Il nuovo Batman di Robert Pattinson e dei Nirvana: sarà un film maledetto?

batman di robert pattinson

Fa già discutere i puristi quel Batman di Robert Pattinson con Matt Reeves alla regia. Sì, perché se negli scorsi mesi tutto si riduceva a soffiate, leaks, voci di corridoio e indecenti pronostici ora è realtà: il nuovo Batman sarà Robert Pattinson, quello che ha fatto innamorare le ragazzine e infuriare i ragazzini dai tempi della trilogia di Twilight e che ora “si permette” di indossare i panni del Cavaliere Oscuro, quel Bruce Wayne che i boomer come il sottoscritto sono ancora abituati a immaginare interpretato da Michal Keaton.

Eppure lo stesso Pattinson lo abbiamo visto in The Lighthouse e ci ha fatto convenire: un altro attore, al suo posto, non avrebbe fatto lo stesso. Probabilmente la reputazione del divo americano ha lo stesso destino di quella del Leonardo Di Caprio di Titanic: Di Caprio, diciamolo, è un mostro di bravura e dobbiamo considerare che Pattinson sta facendo molta fatica per scrollarsi di dosso l’associazione mentale con il vampiro che lo ha reso famoso.

Essere un uomo piacente può essere una condanna, specie se un film ti fa interpretare il ruolo di un tizio bello e dannato. Il Batman di Robert Pattinson servirà anche a questo. La conferma arriva con il primo trailer ufficiale del film di Matt Reeves, che come specifica Il Fatto Quotidiano è ancora in lavorazione. Eppure in quel teaser trailer c’è già tutto quello che dovrà essere la forza del nuovo film della saga infinita del Cavaliere Oscuro.

C’è di più: nel trailer di The Batman ci sono anche i Nirvana. Suona strano, perché quando si parla dell’uomo pipistrello siamo abituati a musiche cinematiche, orchestre o atmosfere industrial, mentre in questo caso la scelta è caduta sul mondo del grunge. No, certo è che non ascolteremo Smells Like Teen Spirit: nel trailer di The Batman la voce di Kurt Cobain canta Something In The Way, quel lamento cupo e tenebroso che chiudeva l’album Nevermind (1991).

Fa un certo effetto conoscere le prime immagini del Batman di Robert Pattinson sulle note dei Nirvana: sarà un film dark e maledetto? Probabilmente lo è già, perché quando si parla della band di Seattle non si può scherzare con le emozioni.

Che fine ha fatto la serie TV sul massacro del Circeo?

serie tv sul massacro del circeo

Le ultime notizie sulla serie TV sul massacro del Circeo risalgono al 2019, quando Cattleya si ritrovò a smentire la partecipazione dell’assassino e stupratore Angelo Izzo come consulente. Izzo, infatti, era uno dei tre mostri insieme a Gianni GuidoAndrea Ghira che nella notte tra il 29 e il 30 settembre 1975 rapirono, violentarono, massacrarono e seviziarono Rosaria Lopez e Donatella Colasanti arrivando a uccidere la Lopez. Donatella, per sopravvivere, si finse morta e le due ragazze furono rinchiuse in un bagagliaio e trasportate dalla villa degli orrori di San Felice Circeo a Roma.

I lamenti di Donatella Colasanti attirarono le attenzioni dei passanti, che avvertirono le forze dell’ordine e la liberarono. Nel 2019, dicevamo, era comparsa la notizia dei lavori su una serie TV sul massacro del Circeo. Lo aveva rivelato il produttore Riccardo Tozzi in un’intervista rilasciata al Messaggero. La serie TV – dal nome ancora ignoto – dovrebbe uscire entro il 2020 ma non si ha alcuna notizia sullo stato dei lavori.

Di sicuro c’è stato un rallentamento a seguito del lockdown per contenere la pandemia del COVID-19, ma da circa un anno non si conoscono aggiornamenti sulla realizzazione.

Del delitto si parlerà, certo, ma non lo racconteremo con ricostruzioni, non lo vedremo succedere. Sarà un lavoro diverso, non avrà nulla di scandalistico, ci concentreremo sui cambiamenti nel costume.

Queste le parole di Tozzi per spiegare lo storytelling della serie TV, incentrata principalmente sul processo di Latina al quale parteciparono gli imputati Gianni Guido e Angelo Izzo, mentre Andrea Ghira si era dato alla macchia grazie a una soffiata. Non si tratterà, dunque, di una ricostruzione delle atrocità commesse nella villa degli orrori sul mare pontino.

In quel processo, infatti, emerse tutta l’ignoranza e la spavalderia di una mentalità patriarcale, misogina e maschilista: Izzo, durante il suo intervento, arrivò ad accusare le due vittime per il loro costume, il loro genere e la loro provenienza sociale. Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, infatti, venivano dalle cosiddette borgate romane mentre i tre aguzzini erano “bravi ragazzi” dei Parioli, con una famiglia benestante e tanti benefici.

Della serie TV sul massacro del Circeo non si sa ancora nulla, ma potrebbero esserci sorprese.

Il mondo è troppo impegnato a rivendicare il passato per apprezzare The Lighthouse di Robert Eggers

the lighthouse di robert eggers

Proprio di The Lighthouse di Rober Eggers avremmo bisogno, oltremodo, per insegnare al pubblico di oggi che il cinema è nato da un non-cinema. Tutto ciò che c’era prima era la quarta dimensione del teatro, quella in cui gli attori recitavano in absentia di fronte a un pubblico pagante fino ad evolversi in supporti fruibili dal divano di casa o dalla macchina del drive in.

The Lighthouse di Robert Eggers è MurnauWieneLang, è Edgar Allan Poe ed è Ingmar Bergman, ma è anche uno stato dell’arte che non si traduce in un maldestro tentativo di ridimensionare la storia. Eggers l’ha voluta omaggiare e, allo stesso tempo, l’ha riproposta in 4:3 e con i 35 mm. I volti di Williem DafoeRober Pattinson sono già lerci e stanchi, quando li vediamo per la prima volta solcare lo schermo durante la visione.

Si svelano di spalle, poi arrivano su quello scoglio del New England sul quale dovranno sorvegliare il faro per delle settimane. Il mare, intorno a loro, sarà la prigione. Dafoe è un despota goffo, Pattinson è l’assistente ribelle che rifiuta di bere alcol e si spacca la schiena per tutte le mansioni. Tranne per il faro: Dafoe ne è geloso e non consente ad altre persone di accedervi.

Così Dafoe, che snocciola frasi da boomer contro il suo assistente così giovane e ingenuamente eversivo, muove i fili di una convivenza forzata fino al giorno in cui i due compari dovranno fare ritorno sulla terraferma. La nave che doveva venire a prenderli, però, non arriva. I due si tuffano nell’alcol e inizia una follia di cui avevamo già avvertito l’odore nelle scene precedenti. C’è la sirena che tormenta Pattinson come millenni fa accadde a Ulisse; ci sono i ricordi, il lezzo degli escrementi e del vomito, la rabbia e la voglia di uccidersi a vicenda.

C’è, poi, quella morbosità che coniuga fame e sesso, la voglia di conoscere cosa nasconda il faro e il tormento di due uomini i cui ruoli si invertono continuamente fino a trascinarci nel vortice. The Lighthouse di Robert Eggers è il ritorno del cinema-teatro: l’inglese antico, i primi piani e la passione dell’uomo incollano allo schermo.

Climax è un film che ti divora, ma lo fa lentamente e per la prima metà pensi di demordere

Se c’è una cosa che funziona in Climax di Gaspar Noé è la pazienza dello spettatore. Se quella non funziona allora possiamo parlare di un film che per la prima metà è una bevanda diluita, e non parliamo di certo della sangria tossica che manda in pappa il cervello di tutto il corpo di ballo. Il vero peccato della pellicola è che la seconda parte vale tutto il film, ma per l’intera fetta precedente il regista ti rinchiude in una bolla ossessiva di piani sequenza, rumore, dialoghi infiniti e noia.

Vero: nella prima metà del film è necessario cogliere alcuni particolari che saranno al centro del dramma della seconda parte, ma è opinione comune che Noé poteva raccontarci la stessa storia senza ricorrere a una dilatazione del tempo così feroce e piatta.

Funziona il luogo isolato, quel fabbricato in cui i ballerini mettono alla prova il loro talento. Funziona la musica a tutto volume che finirà per divorare chiunque e funzionano le beghe personali tra i presenti, saette che finiranno per amplificarsi fino alla fine. Quel che non funziona è il percorso: per incollarci allo schermo – e sì, ci si incolla letteralmente – dobbiamo attendere tantissimo tempo durante il quale pensiamo a più riprese di mollare tutto.

Ciò che è chiaro è che ci troveremo in un inferno in cui tutto perde la logica umana: alle grida disumane si uniscono la violenza gratuita, l’umiliazione, la tragedia e la paura (soprattutto questa) e nessuno dei presenti ci sarà così amico da farci trovare la speranza di una luce in fondo al tunnel. Non avremo tregua, con Climax, quando gli effetti della sangria tossica inizieranno a diventare sintomi e azioni.

I corpi dei ballerini diventano macchine incontrollabili, veicoli di un delirio che a volte rende necessaria una pausa. Troviamo SuspiriaPossession e la parte più delirante di Pasolini, e probabilmente Climax è la risultante di tanto cinema del delirio arrivato a noi con grandi nomi ancora imbattuti.

Vale la pena vederlo? Per la seconda parte sì, e a quanto pare Gaspar Noé puntava in maniera maldestra sull’hype che ti porta a divorare tutto fino al finale, ma non ci è riuscito.

Con Tolo Tolo di Checco Zalone il trollaggio diventa cinema

Tolo Tolo di Checco Zalone non è Cado dalle NubiSole a Catinelle e nemmeno Che bella Giornata: a questo giro l’attore pugliese dimostra una consapevolezza in più. Sì, resta sempre sul pezzo e su questo è rimasto a partire da Che bella giornata, ma ora Luca Medici ha capito che l’arte del dissacrare che lo ha sempre distinto doveva fare uno step successivo.

Parlare di migranti, fascismo e terrorismo con il linguaggio della parodia non è cosa scontata: per fare questo Checco Zalone ha sfruttato il teatro più verace dei paesi dilaniati dalle milizie, dei ricchi che bevono cocktail serviti da autoctoni occidentalizzati e il terrore di chi sogna una vita migliore che per conquistarla deve passare attraverso l’inferno.

Scherzare sui lager libici e sulla massa di carne in movimento dall’Africa non è semplice, e Tolo Tolo di Checco Zalone riesce anche in questo: mentre le milizie minacciano i passeggeri dell’autobus Checco cerca un bagno dopo aver bevuto dell’acqua infetta, e la paura cede il posto alla risata.

C’è di più: Tolo Tolo di Checco Zalone ci insegna che il fascismo è un virus come la candida, un brutto male che infetta le persone e fa dire loro cose che fino a pochi minuti prima non dicevano: aggredisce il cervello, il pensiero e la cura è molto difficile da trovare, specialmente se qualcosa che è scomparsa 75 anni fa non riesce ancora ad estinguersi dall’animo umano.

Il film arriva proprio quando la violenza verbale, l’odio e il germe folle del razzismo sono diventati parte integrante del mondo dei social, talmente presenti da rendere necessari incontri nelle scuole, task force e interventi dagli stessi sviluppatori delle piattaforme.

C’è anche una certa politica che si è resa responsabile, specialmente da quando è sbarcata sui social, di un certo linguaggio che ha risvegliato legioni di persone frustrate che proprio da certe cariche dello Stato si sono sentite in diritto di manifestare la propria violenza e il proprio odio su tutte le piattaforme. Tolo Tolo di Checco Zalone prende l’italiano medio, lo ridicolizza e ci fa capire che ne siamo circondati, anche quando entriamo in una cabina elettorale.

Finisci di vedere NOS4A2 e credi di aver avuto un’allucinazione

NOS4A2 è a tratti delirante, quel tanto che basta per lasciarti incompleto quando termina l’ultimo episodio. Hai ancora fame della cattiveria romanzesca di Zachary Quinto nel ruolo di Charlie Manx, ma anche di sapere se l’impavida Vic McQueen si deciderà a cambiare outfit. Lo fa nell’ultimo episodio, ma non vogliamo dire troppo.

Due mondi si fronteggiano in NOS4A2: quello reale in cui vive Vic, ragazza con una famiglia disastrata che vuole andare al college anziché consumare la sua vita a lucidare case di terzi insieme alla madre. Suo padre è alcolizzato, fallito e non è mai stato presente. Mentre Vic sfreccia con la sua moto da cross in un momento in cui fugge dall’ennesima lite in casa arriva a un ponte che, però, vede solo lei. Quella è la sua inscape.

Il secondo mondo è quello di Charlie Manx che transita tra i due universi per rapire i bambini, manipolare le loro teste e trasportarli a Christmas Land. Vic, ovviamente, deve fermarlo. Resta l’amaro in bocca, perché quella Christmas Land in cui i bambini hanno denti demoniaci, fanno a pezzi gli ospiti che Charlie porta loro come pasto e in cui le canzoni del Natale diventano nenie mortali la vediamo pochissime volte.

Se hai sete di sangue NOS4A2 non ti sazierà, anche se si predispone bene. Charlie Manx vive in simbiosi con la sua Rolls Royce Spettro e ci ricorda tanto l’Arnie Cunningham di Christine, il romanzo di Stephen King dal quale John Carpenter trasse quel capolavoro di film. Non sono dettagli a caso: NOS4A2 è tratto da un romanzo di Joe Hill che sarebbe proprio il figlio del Re del Brivido.

Vic McQueen è speciale, e questo Charlie Manx lo sa: è dotata di un potere che lo rende vulnerabile, e in questo Vic è forte della complicità di Maggie, una medium che quando non consulta le lettere del suo scarabeo fa la bibliotecaria. Il risultato è una serie che mette insieme il fiabesco, il macabro e il fantasy. Non avremo pace finché non vedremo l’ultima puntata: vogliamo vedere Christmas Land ma forse, per vedere di più, dovremmo aspettare la seconda stagione.