Bates Motel, la claustrofobica illusione dell’appartenenza

Quando si chiude l’ultimo episodio di Bates Motel resta il vuoto e arrivano i dubbi. In primo luogo, perché quel finale se Psyco di Alfred Hitchcock racconta una storia diversa? La serie TV approdata prima su Netflix e poi sul più sobrio Amazon Prime Video ci insegna che non dobbiamo farci domande. Dalla prima puntata viene spontaneo chiederci il motivo di trasporre l’intreccio e i personaggi di Robert Bloch ai giorni nostri, con Norma Norman Bates intenti a comunicare dagli smartphone e ad usare un computer per registrare il check-in degli ospiti.

Ce lo chiediamo perché quando Anthony Perkins entrò nelle nostre vite non c’era WhatsApp e tantomeno conoscevamo la fibra ottica. Smettiamo di chiedercelo quando arriva il primo atto di sangue e quando facciamo il primo atto di dolore. Siamo di fronte a un travaso di intenti. Vera Farmiga nel ruolo di Norma Bates riesce ad ammaliarci nei primi istanti, poi ci insospettisce e infine iniziamo ad odiarla, ma la Norma che odiamo è quella immaginata da Norman, il figlio difficile, assassino, psicopatico e al contempo fragile. Tutto ciò che vuole è vivere per sempre con sua madre, la sola donna al mondo che riesce veramente ad amare.

La sola donna al mondo che può proteggere il figlio dal mondo e proteggere lo stesso mondo dal figlio, ma nel tentativo di proteggere Norman da se stesso si rende incapace di salvarlo da lei.

Un amore, questo, che Norma gli ha imposto e del quale Norman si convince, fino a convincere noi. Norman ci fa capire quanto sia tossica l’illusione dell’appartenenza. L’amore ha senso solamente quando consapevole, e l’amore di Norman per sua madre si interfaccia con le manie di controllo di quest’ultima che gli preclude ogni tentativo di emancipazione, ma tutto si confonde quando l’equilibrio mentale di Norman vacilla sempre di più fino alla carneficina che ci accompagnerà in un crescendo che culmina con quell’ultimo atto, la chiusura del cerchio.

È certo difficile comprendere se Norma, in realtà, voglia evitare che Norman faccia altre vittime sfruttando il pretesto della protezione materna o se veramente abbiamo a che fare con una madre possessiva, ossessiva e manipolatrice. Di certo i tentacoli di Norma non giovano a Norman, che arriva a confondere la sua personalità con quella di sua madre fino a uccidere nella convinzione che sia sua madre a farlo.

Una cosa è certa: Bates Motel ci insegna che la tossicità delle relazioni è sempre in agguato. Lo fa con il linguaggio schietto di chi si vanta di dire quello che pensa e, dietro questa scusa, ferisce. Quando Bates Motel finisce ci accorgiamo di aver trattenuto il respiro per 5 stagioni e quando torniamo in superficie, inevitabilmente, ci scopriamo disorientati e orfani.

Quando arrivano i titoli di coda siamo ancora in quella stanza con Norman e Norma, inaliamo insieme a loro il gas tossico della caldaia e ascoltiamo Mr. Sandman mentre la telecamera si muove lenta e feroce. Siamo ancora nel loop di quella nenia mortale.