Festival di venezia dalla ventunesima alla trentesima edizione: dalla bellezza di Sophia Loren a quella dei film di Bunuel

Come passa il tempo. Siamo già a metà degli anni cinquanta. Rombo di motore nuovo, strada asfaltata che si perde nei desideri delle persone. L’odore della Laguna era già forte allora, quando sembrava che il Festival di Venezia dovesse toccare il cielo in modo asintotico.

Fa così caldo. Ormai il Festival potrebbe chiamaris Festival del caldo. Ma perchè sempre in Agosto? Penso. E’ giorno, e fa caldo. Guardo le strade della città e provo un senso estatico di pace. Mi chiedo se questa felicità non artificiale durerà per sempre, se sarò sempre così felice guardando una strada deserta sotto il solleone.

Se fossi grande, stasera, adesso, potrei essere lì, magari potrei sentire, come sottofondo, la musica di Elvis Presley, che mi sembra così nuova, ma allo stesso tempo così affascinante. Mi manca non essere lì in questo momento, in questo frizzante 1956: ma me lo sento: sarà Maria Schell a trionfare, proprio con Gervaise, ma nessuno toglierà il premio San Giorgio a Kon Ichikawa, per Biruma no tategoto , alla faccia di coloro che non amano il cinema giapponese.

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Festival di venezia dalla undicesima alla ventesima edizione: Senso o Romeo e Giulietta?

Dopo un lungo tramonto, durato qualche anno, Venezia è riuscita a rialzare la testa, ad appoggiarsi sulle proprie mani, e ha cominciato a scrollarsi di dosso le macerie della guerra. Macerie fisiche, macerie culturali. Come una fenice nascitura, il festival ha continuato ad ardere sotto la cenere (mio dio, sembro Louis Miguel!) fino alla resurrezione, con l’arrivo del 1946.

Come per tutti, anche per il Festival di Venezia l’uscita dal tunnel non è stata nè immediata, nè indolore. Aiutato da una incredibile voglia di ricomincire, a dall’esplosione dell'”artisticità” repressa in quei difficili anni, il Festival riprende, stavolta a pieno regime.

Ed è il Neorealismo a fare da testimone a questo secondo inizio, anche se i film che lo rappresentano più da vicino, sembrano inizialmente non riscuotere il successo meritato; in questi anni si riaprono le porte al cinema internazionale, che torna, portando orgogliosamente sul vassoio una sequela interminabile di grandi registi e divi di ogni genere.

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Gli Arquette: una famiglia non proprio tranquilla

Come buona parte delle grandi famiglie del cinema americano anche gli Arquette, non si esimono da una buona dose di istrionismo e senso della ribellione nei confronti degli stereotipi, oltre a una tradizione di lunga data che li vede tramandare di padre in figlio la nobile arte della recitazione.

Da Cliff Arquette, celebrato attore, comico, musicista fino alla metà del secolo scorso, nasce nel 1935, Lewis Michael Arquette, colui che dal matrimonio con Mardi Olivia Nowak, darà vita alla nutrita discendenza composta da cinque figli: Rosanna, Patricia, David, Richmond ed Alexis, che un tempo si chiamava Robert.

Così mentre papà Lewis si convertiva all’islam, Rosanna mostrava i primi segni di insofferenza verso le regole familiari, raggiungendo in autostop San Francisco per poi spostarsi a Los Angeles dove nel 1977 debutterà in teatro. La sua carriere cinematografica non la si può definire propriamente gloriosa, con una serie di comparsate in film di successo tra cui New York Stories di Martin Scorsese, Pulp Fiction di Quentin Tarantino nonché Crash di David Croneberg aggiunte a diversi flop, successivamente preferisce al ruolo di attrice quello di produttrice e regista. La sua vita privata è contrassegnata da tre matrimoni e relativi divorzi: prima con il musicista Tony Greco, in seguito con il compositore James Newton Howard, poi con il restauratore Jon Sidel, da cui avrà una figlia Zoe Blue. La celebre canzone Rosanna dei Toto, è dedicata proprio a lei.

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Festival di venezia dalla prima alla decima edizione: dalle origini a Bengasi

Non credo che la Biennale di Venezia abbia bisogno di alcuna presentazione. Si tratta infatti di una delle istituzioni culturali più importanti e note del globo, nonchè, udite udite, il festival cinematografico più antico del mondo! Il festival è nato infatti nel 1932. Pensate a quel momento decisivo. Oggi ne parlano tutti, ma io quasi li vedo, il presidente della Biennale di Venezia, il conte Giuseppe Volpi di Misurata, Antonio Maraini, lo scultore e segretario generale, Luciano De Feo, il segretario generale dell’Istituto internazionale per il cinema educativo, tutti lì, riuniti attorno a un tavolo, che annuiscono tutti convinti e consapevoli del futuro successo della manifestazione.

Tutto è iniziato nei lontani anni ’30. Cosa vi viene in mente, se vi dico anni ’30? A me non molto, a parte il fatto che Indiana Jones era nel pieno della sua forma. Ma se la macchina del tempo ci portasse lì, sicuramente ci porterebbe a Venezia, in quel remoto e ingiallito 1932. Ci troviamo sulla terrazza dell’Hotel Excelsior al Lido di Venezia, ma ancora non si tratta di una rassegna competitiva. L’inizio è valoroso, e vengono già proposti quelli che diverranno veri e propri classici.

E come simbolo del cambiamento, vince Dr. Jekyll and Mr. Hyde di Fredric March, sia nella categoria Migliore Attore, sia in quella relativa alla storia migliore. Miglior regista invece è il sovietico Nikolaj Ekk per il film Il cammino verso la vita, mentre il film più divertente è A noi la libertà di René Clair. La cosa più pazzesca è che è stato menizonato anche – si – Topolino, Mickey Mouse. Sempre sulla breccia, il topastro.

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Recensione: Le Cronache di Narnia: Il Leone, la Strega e l’Armadio

Sono tempi di grosse saghe, divise in blocchi per eseigenze pratiche. L’importante è che i vari episodi non vengano girati a una distanza eccessiva l’uno dall’altro. Altrimenti rischiamo di trovarci davanti a dei vecchi bambini, questo non è mai bello, anzi, è antiestetico e anche un pò grottesco.

Tornando alle saghe, ci troviamo di fronte al passaggio verso un mondo incredibile: il mondo di Narnia. Ma non siamo noi a varcare la soglia di questo incredibile, fantastico mondo: noi siamo gli spettatori, e guardiamo i protagonisti della nostra vicenda, Peter (William Moseley), Susan (Anna Popplewell), Edmund (Skandar Keynes)e Lucy (Georgie Henley), che attraversano il passaggio e dal grigiore dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, ci troviamo proiettati in un universo fantasy di tutto rispetto.

E’ Lucy la prima a fare il passo. E la sua giovanile ingenuità le permette di concepire, senza troppi problemi, l’amicizia con un fauno, il signor Tumnus (James McAvoy), che, come in un tutorial in carne ed ossa, svela alla piccola le regole che devono essere rispettate per vivere a Narnia. Tuttavia la piccola Lucy entra nel magico mondo in un momento un pò drammatico: il magico paese non possiede più il Natale, sottrattogli dalla perfida Jadis, la Strega Bianca (Tilda Swinton).

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Madonna al cinema: da Who’s that Girl a Filth and Wisdom

Ribadisco subito il concetto espresso nel titolo, Madonna è sempre Madonna. Preconcetti, aspettative della critica, critiche antesignane e prodromiche, tutto quello che si può di re e tutto quello che non si può dire: ma Madonna è sempre Madonna.

Quando l’ho vista per la prima volta, tanti anni fa, è stato come vedere esplodere un barboncino in un salotto francese nel settecento, con conseguente cospargimento di carni e interiora sulla padroncina e sugli ospiti. Qualcosa di irriverente, una ferita mortale ai miei pensieri e alla mia morale, ma anche qualcosa da cui non riuscivo a togliere lo sguardo.

Domani Madonna compie cinquant’anni, e la cosa non mi stupisce affatto. E’ stata in grado di compiere altre meraviglie, altri prodigi. A cinquant’anni ci arriverò anch’io, e tante persone che respirano come me e di cui ho una stima media (la peggiore).

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Recensione : La Mosca

Il tema della metamorfosi, filtrato dalla mente di David Cronenberg, ha dato vita nel 1986, a una rappresentazione di come si diventa schiavi della trasformazione, e di come si giunge a diventarne dipendenti, quando se ne perde il controllo.

La Mosca è il remake dell’omonimo The Fly, del 1958, in Italiano L’Esperimento del Dottor K, con Vincent Price. Tuttavia il remake diviene in questo contesto un pretesto, un modo per approfondire ben altri temi. Seth Brundle (Jeff Goldblum), più che uno scienziato, infatti, è un artista. Studia in incognito il teletrasporto, e arriva a realizzare un prototipo funzionante di un macchinario che ne implementa i principi fondamentali.

Ci siamo quasi, il programma riesce a trasferire le cellule da una capsula all’altra, manca veramente poco al lieto fine, e a una rivoluzione, in campo scientifico, di quelle epocali. Accanto allo scienziato, in questi intensissmi momenti, la giornalista Veronica Quaife (Geena Davies) vive con lui una storia d’amore intensa e bellissima.

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Presenze sul set: fantasmi dietro la macchina da presa?

Nessuno di noi ha bisogno di sapere cos’è un fantasma; del resto, credo che quasi nessuno di noi possa affermare di averne visto uno. Eppure tutti ne parlano, tutti sanno cosa sono, e nonostante certi fenomeni ancora non siano stati definiti in modo rigoroso, ognuno di noi si ritiene evidentemente in grado di vederne uno.

Alzando i piedi da terra rispetto all’articolo in cui si parlava dei morti sul set, adesso si sfora nel paranormale, nell’incertezza dell’allucinatorio, nella parapsicologia cinematografica e nei potenti effetti della suggestione.

Prendiamoci dei punti di riferimento: se i fantasmi esistono, non c’è motivo che neghi loro di andare al cinema. Men che mai di recarsi su un vero set cinematografico per assistere alle riprese di un film. Immaginatevi infatti la situaizone: siete più o menoinvisibili, evanescenti, potete attraversare i muri e, all’occorrenza, terrorizzare chi vi dà fastidio; in più avete di fronte a voi l’eternità. Avete presente le potenzialità di una vita del genere?

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I Sutherland: Donald e Kiefer destini incrociati

La caratteristica che più accomuna Sutherland padre (Donald) al figlio (Kiefer) è senza dubbio la duttilità, la capacità di ricoprire i ruoli più disparati con la garanzia pressoché matematica d’ottenere un risultato che risponde alle aspettative, la chiave del successo dei due attori è tutta qui, quanto basta per includerli nel novero dei più amati dal pubblico.

Che Donald McNichol Sutherland fosse capace di tutto lo si intuisce dalla sua biografia. Nato in Canada nel 1934, fa il dj in una radio privata e nello stesso tempo si paga gli studi per diventare attore, un sogno destinato a divenire realtà che il nostro persegue strenuamente, al punto da imbarcarsi per l’Inghilterra dove si iscriverà alla London Academy for Dramatic Arts.

Ogni ruolo sembra adatto a lui, Donald non sfigura mai neanche quando a inizio carriera, il cinema italiano gli concede la grande occasione di proporsi ma in film di bassa qualità. Col passare del tempo parti più decorose si profilano all’orizzonte come quella del capitano Pierce nella versione cinematografica di Mash a firma Robert Altman. Anche il nostro Federico Fellini, si accorge di lui e gli offre il ruolo del protagonista in Casanova, cosi come un altro grande maestro di casa nostra Bernardo Bertolucci lo trasforma nel cinico Attila del suo Novecento: il legame con l’Italia è forte. Con quel viso da eterno marpione, il sorrisetto ironico e irriverente Donald Sutherland da l’idea di saperla lunga e nulla sembra poterlo turbare.

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Film italiani 2009: quattro titoli su cui puntare

Il momento è giunto, e, credetemi, era inevitabile. Anche il cinema di casa nostra nel 2009 dirà la sua, e nessuno di noi potrà far finta di niente, nessuno potrà ignorare il richiamo del cinema italiano.

La scelta non è vastissima, e questo ci permette di soffermarci con un certo zelo su qualche particolare della cinematografia futura battente bandiera tricolore. Vi anticipo subito che cuore e amore saranno le parole chiave. Poi ci sarà qualcos’altro, poi torneranno cuore e amore, e così via.

Intraprendiamo dunque senza pregiudizi questo tortuoso percorso, ricordandoci che se le aspettative sono quello che sono, in sostanza non potrà che andarci bene; in fin dei conti questo è un principio che può essere applicato un pò ovunque, quindi non vedo sinceamente il motivo di non sfruttarlo in questa sede.

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Maledizione sul set: i film uccidono?

La recente scomparsa del non ancorra ventinovenne Heath Ledger ha risollevato un polverone che abbiamo già visto alto, nella storia del cinema: quello dei film maledetti. Film funestati da sciagure indicibili, e le cui riprese sono accompagnate da morti e disgrazie.

Detta così, non può che sembrare una leggenda metropolitana. Eppure effettivamente, analizzando strettamente i fatti, emerge che qualcosa è successo e succede davvero. E’ possibile infatti decorare la realtà, ma non lo è cambiare il numero di morti avvenuti nel contesto delle riprese di un film.

Il segreto per non perdere tutte le informazioni interessanti è proprio quello di non lasciarsi sommergere da superstizioni e da eventi inspiegabili, cosa che puertroppo si tende a fare con una certa facilità, considerato che le storie di fantasmi ci affascinano incredibilmente.

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Dalla Cina con passione

Il cinema cinese gode di una lunga tradizione che affonda le sue radici alla fine del 19mo secolo, quando le prime “ombre elettriche”, così venivano chiamate, vennero proiettate per la prima volta a Shangai. La tumultuosa storia di questo immenso Paese non mancò di influenzare la produzione cinematografica degli anni successivi, quando le pellicole assunsero connotati patriottici e propagandistici, pur non trascurando l’ispirazione data dalla corrente hollywoodiana e sovietica.

L’occupazione giapponese di Shanghai avvenuta nel 1937 interruppe di fatto l’epoca d’oro delle pellicole cinesi, tornò comunque agli antichi splendori nel dopoguerra, poi il comunismo rese il cinema uno strumento di informazione e propaganda nei confronti delle masse contadine, eludendo possibili contaminazioni dall’estero con l’importazione di soli prodotti sovietici.

Negli anni ’70 si ebbe nelle sale di casa nostra e non solo l’invasione di film basati sulle arti marziali, ma che in realtà venivano realizzati non dalla Repubblica Popolare ma da Taiwan e Hong Kong non ancora possedimento di Pechino, influenzando di fatto il nuovo cinema cinese, opera di registi formatisi negli Stati Uniti e in Europa: una corrente innovativa che passando da Taiwan raggiunse finalmente la Cina continentale nel 1984 grazie alle pellicole Tudi (1984) di Chen Kaige, Daoma Zei (1986) di Tian Zhuangzhuang e Sorgo rosso (1987) di Zhang Yimou.

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Recensione: Clive Barker’s Hellraiser

Il 1987 è stato segnato dall’arrivo, sul grande schermo, di quello che sarebbe diventato un cult a tutti gli effetti: Clive Barker’s Hellraiser, giunto a noi come Hellraiser: Non ci sono limiti, grazie al nostro possente filtro “traduci-titoli”. Si tratta, banalizzando, di un film dell’orrore, e per di più, si tratta di un film di Clive Barker.

Forse non basta una prima occhiata per rendersi conto che dietro a un succedersi di “eventi horror” abbastanza lineari, si celano una trama estremamente intricata e un retroscena complesso ed estremamente fantasioso, ricco di dettagli e che affonda le radici temporali sia nel passato sia nel futuro.

Apparentemente, il protagonista è Frank Cotton (Sean Chapman). Si tratta di un personaggio molto particolare, interessato all’occulitsmo, e alla continua ricerca del massimo estremo. Le sue ricerche lo portano all’acquisto di un nuovo, misterioso strumento in grado di portarlo oltre qualsiasi soglia del piacere carnele: si tratta di una scatola di legno, una specie di carrillon.

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International Film Festival Locarno

Il titolo parla chiaro: in quest’estate di fuego, l’unico modo per salvarsi è concentrare la nostra attenzione, con l’impegno di un monaco buddista, sui festival e sulle rassegne di cui è costellata questa stagione rovente.

La sessantunesima edizione dell’ International Film Festival Locarno è stata inaugurata il 6 Agosto in Piazza Grande con tutta la forza che può, promettendo di andare avanti fino al 16 di Agosto.

Le facce che avremo occasione di vedere live e a colori, sono tante e sono celebri. Volete fare quattro chicchiere con Amos Gitai? Volete congratularvi con Alessandro Baricco? Bene. Allora, tutti a Locarno.

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