Red State, recensione in anteprima

Travis (Michael Angarano) e gli amici Jared (Kyle Gallner) e Billy Ray (Nicholas Braun). presa in prestito l’auto dei genitori di Travis decidono di incontrare una donna conosciuta via chat che promette ai tre ragazzi una notte di sesso selvaggio, purtroppo la donna che i ragazzi andranno ad incontrare è in realtà un’adepta della Chiesa dei Cinque Punti, una vera e propria setta religiosa che predica omofobia, intolleranza e violenza seguendo gli insegnamenti del loro folle e carismatico leader Abin Cooper (Michael Parks), che sfruttando una visione delirante e distorta della religione fa proseliti e semina cadaveri.

I tre ragazzi invece che in un letto a far baldoria verranno drogati e sequestrati, ritrovandosi così legati e imbavagliati, pronti a diventare agnelli sacrificali, peccatori da giustiziare per foraggiare con il sangue la follia omicida praticata dal culto di Cooper ormai definitivamente fuori controllo. L’uccisione di un vice-sceriffo e il conseguente intervento di agenti governativi, che assedieranno la proprietà dove sono asserragliati  armati fino ai denti Cooper e i suoi adepti, scatenerà un efferato gioco al massacro che finirà in catartico e surreale bagno di sangue.

Davvero interessante questo esordio nel genere horror di Kevin Smith, anche se nonostante le massicce dosi di gore e le esplosioni di violenza, Red State si potrebbe definire più pulp che horror, tanto per intenderci più vicino a pellicole come La casa del diavolo di Rob Zombie in cui l’aspetto orrorifico viene sviscerato e filtrato in maniera piuttosto realistica, quindi niente di sovrannaturale, soprattutto niente mostri, zombie, tormentati spettri o demoni, anche se di demoniaco c’è senz’altro il predicatore estremista interpretato da un istrionico Michael Parks e di tormentato senza dubbio l’odierna America con tutto il suo carico di contraddizioni e livore, di libertà sbandierate all’ombra di altrettante libertà negate e sistematicamente violate, di estremismi che serpeggiano ed implodono in un incontrollato terrore che spesso miete più vittime del terrorismo stesso.

Il film di Smith è coraggioso, tanto imperfetto quanto vitale, a tratti prolisso a tratti illuminante nella sua spietatezza nel delimitare il labile confine tra follia e giustizialismo, legge e ordine costituito, credo e cieca fede.

Come accaduto di recente con il notevole The Woman, capace di lasciare segni indelebili nello spettatore, il cinema indipendente si dimostra ancora capace di regalare quel qualcosa in più che esula dall’intrattenimento a prescindere, da un cinema spesso all’insegna del modaiolo, fruito passivamente e a base di infinite saghe, forzosi sequel, stanchi remake e superflui reboot e quindi ben vengano nuove leve e sperimentatori come Kevin Smith, che con il loro transitare nel genere per poi passare semplicemente oltre, riescono a dare un’ulteriore prospettiva esterna ad un cinema di genere che il formato mainstream ha reso pigro e fossilizzato.

Note di produzione: nel cast figurano John Goodman, l’attrice Premio Oscar Melissa Leo e Kevin Pollack. Il regista Kevin Smith in forte polemica con la distribuzione statunitense ha deciso di fruire di un rilascio del film attraverso canali alternativi alla canonica grande distribuzione.