Recensione: Il seme della discordia

Il seme della discordia chiude la carrellata dei film italiani in concorso alla Mostra Internazionale di Venezia. Dopo 7 anni di assenza torna alla regia Pappi Corsicato, già noto alle platee festivaliere per lavori come I buchi neri e Chimera.

Veronica (Caterina Murino) è una giovane e bella donna sposata con un rappresentante di fertilizzanti. Un giorno scopre di essere incinta; peccato che nella stessa giornata il marito scopra di essere sterile. Mistero e colpi di scena in un film che racconta il mondo dei sentimenti e delle relazioni umane, senza retorica.

L’idea di questo film nasce da un racconto al quale il regista si è liberamente ispirato: La Marchesa von O di Heinrich von Kleist e al film che circa 30 anni fa ne ricavò Eric Rohmer. La storia, pur risalendo ai primi anni dell’800, contiene diversi temi attuali e facilmente trasportabili all’epoca contemporanea: la maternità e i suoi connessi non sono questioni che col tempo appassiscono.

Il regista napoletano tenta in questo riadattamento cinematografico una duplice operazione: raccontare dinamiche affettive di coppia, parentali, amicali, costruendo una commedia di corpi e sguardi al femminile.

Un dramma quindi, ma da rivivere con il sorriso sulla bocca. Coloratissima storia d’amore e di corna la cui ironia ha strappato applausi al pubblico in sala, anche se per certi versi la pellicola si è rivelata discontinua, soprattutto quando si utilizza un taglio “ridanciano” per parlare di stupro e di aborto.

Il seme della discordia punta molto del suo appeal, sulle variopinte scenografie e sul look delle protagoniste femminili: Caterina Murino, Martina stella, Valeria Fabrizi, Iaia Forte (attrice icona di Corsicato), Monica Guerritore e Isabella Ferrari, quest’ultime protagoniste altresì nel film di Ferzan Ozpetk, in concorso al festival; tutte portatrici di una bellezza stilizzata e affascinante come quella delle dive degli anni ’60.

Osservando infine l’atmosfera che si respira guardando la pellicola, è impossibile non paragonare lo stile di Corsicato a quello del grande maestro Almodovar, attingendo al cinema nobile del passato, così come fecero Tarantino, i fratelli Coen e David Lynch.