Lo chiamavano Trinità: recensione

Trinità (Terence Hill) un vagabondo pigro, sornione e a prima vista totalmente innocuo, in realtà è un abilissimo pistolero che non fa che scontrarsi con tutti gli attaccabrighe che incontra, la sua fama nel tempo lo ha fatto soprannominare la mano destra del Diavolo.

Trinità è in cerca di suo fratello Bambino (Bud Spencer), soprannominato la mano sinistra del Diavolo, che occupa abusivamente il posto dello sceriffo di una piccola cittadina in attesa dell’arrivo dei suoi due complici, Faina e Timido, con cui ha intenzione di trafugare una mandria di cavalli non ancora marchiati.

L’arrivo nella cittadina di Trinità creerà non pochi guai a Bambino che non solo vedrà saltare il suo piano, ma lo vedrà, spinto dal fratello, schierarsi con una pacifica comunità di Mormoni minacciata dal losco Maggiore (Farley Granger) che vuole la vallata occupata dalla comunità, per farne zona di pascolo per le sue mandrie. L’intervento di Trinità e Bambino costringerà il Maggiore ad allearsi con il suo rivale Mezcal (Roberto Capitani), capo di una banda di tagliagole che terrorizza la vallata.

Un vero cult, il regista Enzo Barboni, che lavorerà in seguito molto spesso con la coppia, utilizzando l’alias E.B. Clucher, riesce a dosare lo spaghetti-western, vero e proprio genere dall’impronta tutta italiana, con la commedia, sfornando un divertente fumetto che miscela le location, ed i clichè tipici del genere western alle gag tipiche della commedia all’italiana che in questo caso assume un inaspettato e sorprendente respiro internazionale.

In assoluto la migliore prova del duo, arrivato dopo La collina degli stivali questo è il film che pone le basi per una lunga e fruttuosa collaborazione tra i due attori che ci regaleranno nel corso degli anni tante divertenti pellicole leggere, spassose e adatte a tutta la famiglia. Rivederlo non deluderà, nonostante il film sia del 1970 funziona a prescindere, rivelandosi per l’ennesima volta un evergreen del cinema italiano.