Che-Guerriglia: recensione

Ernesto Che Guevara (Benicio Del Toro) dopo la conquista di Cuba e la fine della guerra lascia l’isola, che vede ormai come un progetto realizzato, nelle mani di Fidel Castro (Demiàn Bichir), per spostarsi in gran segreto in Bolivia, qui il Che vorrebbe dare inizio ad un piano su vasta scala che coinvolga il Sudamerica nel suo ambizioso progetto rivoluzionario.

La Bolivia vorrebbe essere il punto di partenza per un imponente rivoluzione comunista, qui Che Guevara porta la sua esperienza nella guerriglia, addestra un piccolo gruppo di rivoluzionari poco esperti e si ritrova con defezioni, tradimenti e un territorio inospitale che ne mina le capacità tattiche.

Così con l’esercito governativo alle costole e quasi nessun appoggio da una sparuta e rassegnata popolazione locale afflitta da una povertà disarmante, il Che decide di raggiungere un gruppo di minatori sulle Ande per appoggiarne la protesta, ma verrà arrestato e giustiziato.

Questa seconda parte acquista il vigore della maturità raggiunta dal protagonista, mentre nel primo episodio i flashback, se pur indispensabili, rallentavano inesorabilmente la narrazione, qui tutto scorre meglio e fluidamente e si segue senza deviazioni di sorta l’evolversi degli ultimi anni del Che.

Steven Soderbergh si dimostra il regista più adatto a trasporre sullo schermo un’icona di queste proporzioni senza scadere nella retorica o nel didascalismo. Al di là della politica, ma con un piede ben saldo all’interno della stessa, si apprezza e conosce da vicino un personaggio fagocitato dalla sua stessa gloria, che ha più volte rischiato di diventare un simbolo da sbandierare o peggio ancora modaiola immaginetta da ostentare.

Che-Guerriglia parte in sordina per poi conquistare solidità e coinvolgimento con l’avanzare della storia, un gradino sopra Che-L’argentino e decisamente consigliato per una full immersion storico-biografica di un’importante figura ed icona politica.