Black Book, recensione

black_book_ver3 []Settembre del ’44, la cantante di origine ebrea Rachel Stern (Clarice Van Houten)  fuggita da Berlino per rifugiarsi in Olanda perde la sua casa e tutto quel che ha a causa di un bombardamento, fuggita nuovamente con la famiglia verso il sud del paese assiste impotente alla sterminio di tutta la sua famiglia per mano di una pattuglia di soldati nazisti, sterminio da cui fortunosamente si salva fuggendo verso l’Aia.

Giunta in città la ragazza cambia identità e in cerca di vendetta si unisce alla resistenza locale. Vista la sua avvenenza e i suoi trascorsi nel mondo dello spettacolo a Rachel, che ora si fa chiamre Ellis, viene affidato il compito di sedurre e spiare un ufficiale nazista, tale Ludwig Muntze (Sebastian Kotch).

Purtroppo tra i due ben presto nasce un sentimento reale, perchè l’uffciale delle SS si rivela alquanto diverso dai gelidi carnefici che militano tra le fila dell’esercito tedesco, e la confusione aumenterà ulteriormente quando Rachel scoprirà che la resistenza olandese per cui sta rischiando la vita è piena di infiltrati al soldo del nemico.

L’olandese Paul Verhoeven è un regista alquanto verstile e dal’impronta visiva molto hollywoodiana e non nel senso peggiore del termine, i suoi film americani dimostrano una ricercatezza visiva notevole e spaziano con disinvoltura tra i generi, vedi le riuscite atmosfere action- cyberpunk di Robocop o la fantascienza anti-militarista di Starship troopers, senza dimenticare la caduta di stile del pruriginoso thriller Basic istinct o il colossale flop Showgirls.

Il regista torna in patria e sforna un partecipato affresco storico utilizzando i canoni del thriller a lui molto congeniali, esplora una pagina nera della seconda guerra mondiale cercando un difficile equilibrio tra la veste autoriale di taglio europeo e l’intrattenimento puro, sfornando un ibrido che comunque funziona anche se alla fine non convince del tutto.

In Black Book ci sono tutti i difetti tipici, ma anche i pregi di un regista che ha assorbito ritmi e compromessi del cinema mainstream, aggiungiamoci anche un tema, quello della seconda guerra mondiale, difficile da maneggiare e Verhoeven ne esce comunque a testa alta, dando vita ad una pellicola che non diapiacerà al grande pubblico e accontenterà in parte, anche chi cerca un cinema che regali qualche cosa in più del mero intrattenimento.

Sorvoliamo sulle accuse di revisionismo di cui è stato oggetto il regista perchè provengono sicuramente dagli stessi che hanno definito Starship troopers un film fascistoide non cogliendone minimamente ironia e sottigliezza, per il resto se cercate un buon thriller ambientato durante la seconda guerra mondiale e già avete visto Operazione Valchiria, Black Book è un degno rappersentante del genere.