Un’impresa da Dio, recensione

evan_almighty_ver2 []La vita dell’anchor man Evan Baxter (Steve Carell) sembra andare a gonfie vele, appena eletto al Congresso si destreggia tra una bella famiglia, una nuova casa  ed una carica politica in divenire, ma qualcosa sta per sconvolgere la pianificatissima vita del meticoloso Evan.

A rompergli le uova nel paniere nientemeno che una chiamata dai piani alti, Dio (Morgan Freeman) ha deciso che sarà proprio lui il nuovo Noè, perchè sembra che si stia approssimando una nuova alluvione di proporzioni bibliche, ed Evan dovrà costruire un’arca che possa ospitare e trarre in salvo tutte le specie di animali.

Sin qui sembra tutto chiaro, il problema è che Evan, per nulla convinto, comincerà a cambiare anche fisicamente, prendendo  le sembianze del Noè di biblica memoria, con tanto di capelli lunghi e barba impossibili da tagliare, animali che si presentano a lui spontaneamente trasformando la sua casa in uno zoo, e varie accuse tra cui quelle di essere uscito di testa, ma Evan sa quel che fa e presto tutti dovranno ricredersi.

Tom Shadyac torna dietro la macchina da presa per il sequel di Una settimana da Dio con Jim Carrey, stavolta si modificano storia e protagonista, poteri sovrannaturali e apparizioni divine cadranno letteralmente addosso ad un ignaro e recalcitrante Steve Carell che nel primo film compariva in alcune sequenze come collega e concorrente di Carrey alla poltrona di anchor man di prima serata, regalandoci una spassosa e memorabile performance durante un tg.

Decisamente sottotono questo sequel, Un carell irriconoscibile fa rimpiangere Carrey con una performance perennemente sottotono, Freeman nei panni di Dio non riesce far miracoli, tutto lo script sembra trascinarsi tra gag fiacche e situazioni paradossali mal gestite, gli effetti speciali restano buoni, ma non tolgono o aggiungono nulla alla scialba messinscena, insomma con Un’impresa da Dio il giocattolo sembra essersi inesorabilmente rotto con un sequel da dimenticare.