The Time Machine, recensione

time_machine_ver3 (500 x 693)

New York 1899, Alexander Hartdegen (Guy Pearce) insegnante della Columbia University è una personalità vulcanica ed eccentrica, è sua ferma convinzione che sia possibile viaggiare nel tempo e da molto lavora a questa teoria, unendo le sue conoscenze matematico-scientifiche con la sua passione di inventore lavorando al progetto di un macchinario adatto allo scopo.

La morte della fidanzata di Hartdegen per mano di un rapinatore trasformerà il viaggio nel tempo in una vera ossessione per lo scienziato, che arriverà a straniarsi dal mondo e dalla realtà, sino a raggiungere il suo intento, assemblare una macchina del tempo funzionante, che Hartdegen utilizzerà nel tentativo di cambiare i tragici eventi che hanno causato la morte dell’amata.

Purtroppo i tentativi di cambiare il passato non faranno altro che portare al medesimo risultato, cambiando solo momentaneamente il percorso preso dagli inevitabili eventi, una situazione che frustrerà a tal punto lo scienziato che deciderà di intraprendere un viaggio nel futuro alla ricerca di risposte, viaggio che gli mostrerà il tramonto dell’umanità e la nascita di due razze, i cacciatori antropofagi Morlock che popoleranno il sottosuolo e gli Eloi, pacifiche prede designate che abiteranno la superficie.

Il regista Simon Wells esperto di lungometraggi d’animazione, tra i suoi lavori Balto e Il principe d’Egitto, si cimenta con il suo primo lungometraggio live-action adattando La macchina del tempo, il romanzo più popolare dello scrittore H.G. Wells, autore considerato insieme a Jules Verne il padre della fantascienza e ispirandosi anche all’adattamento per il grande schermo datato 1960 L’uomo che visse nel futuro di George Pal.

Il film di Wells ha il pregio di riproporci le atmosfere del classico del ’60 grazie ad una suggestiva fotografia e ad effetti speciali dal look squisitamente retrò curati dalla Industrial Light & Magic di George Lucas, oltre naturalmente all’egregio lavoro svolto da Guy Pearce tormentato al punto giusto e Jeremy Irons, veterano che sfrutta al meglio il make-up che lo trasforma nell’algido telepate Uber, leader dei Morlock.

Il punto debole de La macchina del tempo, che finisce per farne un film discreto ma non memorabile, è una regia sin troppo convenzionale e una messinscena che se pur fascinosa e ripettosa delle opere che l’hanno preceduta non rende pienamente giustizia alle potenzialità cinematografiche insite nel romanzo e che i moderni effetti speciali avrebbero potuto esaltare, ampliare, ma soprattutto rivisitare in maniera intelligente.

Premesso ciò il film di Wells resta un gradevole divertissement all’insegna del fantastico che non mancherà di intrattenere piacevolmente gli appassionati della fantascienza più classica, regalando qualche nostalgica reminiscenza cinefila, che è sempre un piacere poter riscoprire.

Note di produzione: a supportare il debutto live-action di Simon Wells, che ricordiamo è il pronipote dello scrittore H.G. Wells, la produzione invia Gore Verbinski futuro regista della trilogia de I pirati dei Caraibi, nel cast oltre al comico Orlando Jones nei panni di un ologramma didattico compare nei panni di un fioraio anche Alan Young, uno dei protagonisti del classico di George Pal.