Terminator Salvation: recensione

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2018, il giorno del giudizio è arrivato, Skynet e le sue macchine ribelli stanno decimando la popolazione umana, la terra è un immenso campo di battaglia dove le macerie e i cadaveri ricordano ai pochi superstiti l’inarrestabile avanzata delle macchine e l’imporsi di un nuovo regime che non prevede umani e umanità.

Alcune sacche di resistenza armata cercano di combattere fino all’ultimo uomo contro l’apocalittico avanzare dell’esercito di Terminator che ingrossa giorno dopo giorno le proprie fila e viaggia nel tempo, cercando di cancellare l’unico uomo che potrebbe in un futuro non troppo lontano sventarne i piani di conquista, il leader profetizzato della resistenza John Connor (Christian Bale).

Stavolta Skynet decide di uccidere il padre di Connor, Kyle Reese ( Anton Yelchin) che nel futuro è ancora un ragazzino, toccherà al figlio salvare il futuro padre ed il proprio futuro, e lo farà infiltrandosi e colpendo al cuore Skynet con l’aiuto di un suo stesso prodotto, quel Marcus Wright (Sam Worthington) condannato a morte nel passato e diventato nel futuro ibrida e inconsapevole macchina terminatrice dotata di anima.

Il regista McG, che come Cameron viene dalla pubblicità e dai videoclip musicali, è figlio del cinema action anni ’80, cinema che ne ha delineato indelebilmente l’impronta visiva, il suo Terminator è al contempo visivamente fascinoso ed elegantemente grezzo e si giova una fotografia livida dai colori desaturati che ben delinea un mondo fatiscente e rugginoso fatto di devastazione, catene di montaggio e metallici campi di sterminio.

McG si ispira alle suggestioni post-apocalittiche di Mad Max e in parte all’Aliens dello stesso Cameron, usa un regia muscolare per raccontarci di un futuro alternativo dove l’umanità combatte una guerra impossibile contro il parto mostruoso e letale del suo stesso delirio d’onnipotenza.

Terminator Salvation fatica un pò a trovare una propria dimensione, ma alla fine funziona a dovere, ci fa dimenticare per un attimo l’increscioso terzo episodio, ma pecca in parte, togliendo alle macchine il loro fascino evocativo e misterioso mostrandocele, forse troppo, in tutta la loro devastante e letale grandiosità. Un popcorn-movie con l’anima, un ibrido come il Marcus Wright protagonista del film, che ci fa ben sperare ed accenna un futuro per la saga cameroniana.