Recensione: Watchmen

1985, in un futuro alternativo in cui il mondo è perso in un cupo nichilismo, in cui un ideale Orologio dell’Apocalisse, che rappresenta la tensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica, segna cinque minuti allo scoccare della mezzanotte, una realtà in cui il presidente Richard Nixon è al terzo mandato, gravitano le vite di un gruppo di supereroi cinici ed in disarmo, gli Watchmen.

Quando uno di questi supereroi, Edward Blake alias Il comico, appartenente ad un team ormai sciolto, I Minutemen, viene ucciso, uno dei suoi ex-colleghi, Rorschach, decide di indagare perchè afflitto da sospetti e paranoie riguardanti una possibile cospirazione.

Man mano che l’indagine avanza e Rorschach riprende contatto con tutti i suoi ex-compagni troverà molta diffidenza e poca voglia di collaborare, ma con il lento dipanarsi della trama, la tanto temuta cospirazione verrà a galla, e l’omicidio del comico si rivelerà solo un piccolo tassello di un complotto globale atto a distruggere tutti i supereroi, e come sempre lo spirito di squadra avrà la meglio su tutto.

Watchmen è l’ultimo passo evolutivo per il cinefumetto, un evoluzione/involuzione che ne ha visto umanizzare i protagonisti, puntando l’attenzione sui lati più fragili ed i difetti di una categoria che ha fatto della difesa del genere umano il proprio scopo di vita.

Quando Joker ne Il cavaliere ocuro accusa Batman di non essere tanto diverso da lui, e quando Will Smith in Hancock ci mostra un supereroe cinico ed alcolizzato, ci si rende conto di quanto i supereroi cinematografici stiano mutando, specchi delle paure inconsce e di una certa rassegnazione presente nella società odierna, una metamorfosi verso un cinefumetto consapevole ed adulto, iniziata con gli imperfetti X-men e culminata in questo Watchmen, adesso siamo veramente pronti a tifare per un gruppo di supereroi brutti, sporchi e cattivi, ma soprattutto profondamente umani.

Se gli anni ’80 e la guerra fredda hanno partorito il nichilismo estremo delle storie di Alan Moore, è appunto l’oggi, fatto di crisi economica, paura, consumismo sfrenato e culto del trash il momento ideale per trasporre su pellicola il cupo mondo dello scrittore.

Watchmen è fondamentalmente un noir, i suoi personaggi sono obliqui e sguazzano nell’ambiguità, hanno il fascino del Joker di Heath Ledger, ma al contrario di lui possiedono un barlume di eroismo che ancora pulsa sotto una spessa corazza di egoismo, frustrazione e paranoia, il caos delle emozioni li ha nvasi, ma non totalmente sottomessi.

Zack Snyder è un vero talento, è indubbia la sua capacità nel maneggiare l’amalgama di suggestioni del mondo della graphic-novel, non si lascia irretire dal bisogno di accontentare tutti, forse Watchmen potrebbe non piacere molto alle nuove generazioni, perchè ha l’aria retrò ed il fascino vintage di una pellicola d’epoca, persino gli effetti speciali di ultima generazione non riescono ad incrinare quell’aria da romanzo hard-boiled che permea tutta la pellicola.

Poche le concessioni e le strizzatine d’occhio al modaiolo mondo dei teenager, lo dimostra la malinconica e coraggiosa colonna sonora, che sa di nostalgia e sfilate pacifiste. Watchmen è indubbiamente uno dei migliori cinefumetti in circolazione, un oggetto anomalo concepito per l’oggi ma figlio di un passato ancora tristemente e profondamente attuale.