Recensione: Sfida senza regole

A 12 anni di distanza da Heat – La Sfida, tornano Robert de Niro e Al Pacino in un “altra” sfida, stavolta entrambi come prede e predatori: Sfida Senza Regole. Ricordo ancora quando vidi i due colossi ai tempi dei tempi battersi l’uno contro l’altro.

E’ giunto il momento di stabilire una collaborazione più stretta: Sfida Senza Regole è molto diverso da come me lo aspettavo; imputo questa prima, spontanea considerazione, a quella sorta si “imprinting” che Heat ha lasciato dentro di me ormai molto tempo fa.

Qui le cose sono molto diverse. La sfida che non ha regole non vede più il cattivo sfidare il buono, il crimine che sbeffeggia la legge: stavolta i confini tra il bene e il male sono sfumati, e tutto assume un aspetto più cupo e pessimista.

Turk (Robert de Niro) e Rooster (Al Pacino) sono due detective del Dipartimento di polizia di New York. Sono dalla stessa parte, quindi, ma il film ci di mostra, tra altre cose, che non lo si è mai veramente fino in fondo. Ci troviamo di fronte a due veterani pluridecorati , peraltro a un passo dalla pensione, in procinto di scalare la montagna più alta della loro carriera.

I tempo è quello di una (mai) raggiunta maturità, il luogo una New York crepuscolare, oscura, pericolosa, quella del protettore, dello spacciatore e del tossico pronto a tutto pur si soddisfare la sue esigenza di endorfine; è questo lo scenario in cui uno spietato serial killer si muove cautamente ma in modo beffardo, cercando di mietere più vittime possibile. I due detective sono vicini alla sua cattura, ma ancora non lo hanno in pugno.

Turk ha una relazione con l’affascinante Karen Corelli (Carla Cugino), una poliziotta della Scientifica con tendenze sado maso; Rooster possiede un’indole solida e controllata, mentre Turk ha un carattere irascibile e scontroso.

La pensione dovrà aspettare. Per le strade della città si aggira ancora un serial killer travestito da giustiziere; quasi a sottolineare la sua natura seriale, l’assassino lascia poesie sui cadaveri a motivazione del suo gesto e dè proprio Karen a focalizzare la propria attenzione sul perchè delle poesie.

La sfida ha dunque inizio:i detective Perez (John Leguizamo) (tra l’altro un partecipante dei “giochetti” di Karen) e Riley (Donnie Wahlberg) cercano di risolvere il caso prima dei veterani.

Viene ritrovato il cadavere del protettore di prostitute Rambo (Rob Dyrdek), proprio mentre Turk e Rooster stavano cercando di incastrare il proprietario di un nightclub, Spider (Curtis “50 Cent” Jackson) con l’aiuto di Jessica (Trilby Glover), un avvocato di Manhattan con problemi di tossicodipendenza.

In tutta questa situazione Il tenente Hingis (Brian Dennehy), è ansioso di chiudere il caso perché gli indizi portano dritti dritti a uno dei suoi uomini.

Il film è appassionante e altisonante, ed è una lezione di recitazione. I due colossi collaborano splendidamente, mostrando un feeling che per la prima volta vediamo sul grande schermo. L’indagine del lato più oscuro della personalità è la chiave della efficiacia estetica di due personaggi caratterizzati con il massimo dettaglio.

Il bene e il male fanno l’amore e poi si lasciano sputandosi a vicenda, in un rapporto schizoide che in alcuni momenti confonde lo spettatore, impdendogli di ancorarsi alle sane, vecchie e americanissime certezze, che toglierebbero gran parte del pathos esperito nel film.

La personalità dei due protagonisti, due facce della stessa medaglia, come qualcuno direbbe, è proiettata in uno spazio n-dimensionale e pericolosamente mutevole, nel quale il regista Jon Avnet si diverte a giocare alle trasformazioni.

La danza degli opposti si svolge su una pista da ballo elaborata, in cui i protagonisti si sentono a loro agio: il gangster movie, il poliziesco, l’azione, tutto è finemente elaborato e filtrato in modo personale; si tratta della riproposizione sullo schermo e dentro la Little Italy newyorkese di una mitologia di dannati, di killer e degli ormai leggendari poliziotti italo-americani, il mezzo migliore per l’espressione della poetica degli attori.