Recensione: La terrazza sul lago

Abel Turner (Samuel L. Jackson) è un agente della polizia di Los Angeles, vedovo, che deve crescere da solo due figli l’adolescente Celia (Regine Nehy) e il piccolo Marcus (Jaishon Fisher), in una società multirazziale che predilige i valori dei bianchi e fa dimenticare in fretta le proprie origini.

La sua vita sembra apparentemente procedere tranquillamente, fino a quando i Mattson, Chris (Patrick Wilson) un manager bianco e Lisa (Kerry Washington), figlia di un ricco uomo d’affari neri, non si trasferiscono nella casa al di là dello steccato: i due coniugi hanno una vita, a suo dire, sregolata (fanno sesso in piscina, lui fuma canne d’erba in macchina e butta i mozziconi nel suo giardino, lei potrebbe essere deviante per la figlia) e, soprattutto, sono l’esempio, che la figlia non deve seguire, di mescolanza tra razze.

Abel, usando tutti i mezzi che ha a disposizione, dalla violenza psicologica a quella fisica, dal ricatto alla velata intimidazione, cercherà in tutti i modi di far sloggiare la “viziosa” coppietta dal quartiere, di cui lui si sente capo e guardiano.

La terrazza sul lago (Lakeview Terrace, che indica non una vista panoramica, ma il luogo in cui venne barbaramente malmenato l’afroamericano Rodney King nel 1991) è un thriller diretto da Neil LaBute, che ribalta i ruoli classicamente noti di buono e cattivo e di razzista e discriminato e, attraverso un’ottima interpretazione di Samuel L. Jackson, regala al pubblico, seppur a tratti sia un po’ lento, una particolare e coinvolgente storia di conflitto razziale.

Il regista sceglie di stravolgere il genere, trasformando la classica figura del buon tutore della legge, in quella di uno psicopatico figuro, che, mai ripresosi dalla morte della moglie (la causa scatenante del suo odio nei confronti dei bianchi), decide di farsi giustizia da solo. Non solo: lo stereotipo del bianco razzista, nei confronti del nero discriminato, viene ribaltato, trasformando lo sfortunato Chris, che di problemi ne ha già abbastanza (non è ben visto dal padre di sua moglie, è insoddisfatto della sua vita e rischia di diventare padre di un figlio non voluto), in vittima di intolleranza (Abel non accetta, che lui stia con una nera e che si ascolti la musica rap).

Il film si sviluppa in una trama veramente cattiva, utilizzando tutte le possibili tensioni nei rapporti di buon vicinato (dal troppo rumore, all’albero che sporge nella proprietà altrui, dalla luce di sicurezza piazzata esattamente all’altezza della camera da letto dell’altro, alla sgarbataggine nei confronti degli invitati del dirimpettaio ), tralasciando opportunamente tutta il resto della vita quotidiana (utilizzata solo se funzionale alla storia principale) per focalizzarsi solo sul confronto tra le due realtà.

Concludendo: La terrazza sul lago è una piacevole rappresentazione di guerra di nervi tra persone comuni, la descrizione di un abuso di potere (i Mattson non hanno possibilità di denunciare Abel, a causa degli ottimi rapporti, che l’agente ha con i suoi colleghi) perpetrato a sfondo razziale in quasi due ore di film ben concepite.