Niente velo per Jasira, recensione

locandina-italiana-per-niente-velo-per-jasira-1232581

La tredicenne Jasira (Summer Bishil) sta affrontando il periodo più difficoltoso ed emotivamente impervio della sua vita, il periodo che si frappone tra il suo attuale bisogno fisiologico di sentirsi donna pur non avendone la maturità emotiva, e il diventarlo con tutte le contraddizioni ed emozioni che rendono il passaggio, se non supportati psicologicamente da figure familiari stabili e disponibili, psicologicamente rischioso. Mettiamoci anche che la ragazza è di origini medioorientali e vive in un paese pieno di contraddizioni come gli Stati Uniti in pieno conflitto iracheno e le cose per Jasira si fanno decisamente più complicate.

L’instabile madre di Jasira è un irlandese che vive con lei a Syracuse nello stato di New York, che scoperto un’ambiguo rapporto tra sua figlia e il suo nuovo compagno, spaventata, la spedisce in Texas dal padre di origine libanese, un padre-padrone di vecchio stampo, tradizionalista ad oltranza e che non disdegna all’occorrenza qualche ceffone intimidatorio, sperando che lui possa in qualche modo controllare la deriva della ragazza.

Purtroppo per Jasira le cose si complicano ulteriormente, il desiderio di nuove scoperte aumenta, un corpo che non sa pienamente gestire, adulti decisamente pericolosi ed ambigui che sanno invece come gestire lei e all’occorrenza circuirla a loro piacimento, come fa l’ambiguo Mr.Vuoso (Aaron Eckhart), un riservista per cui Jasira lavora come babysitter.

Seguono le reiterate molestie, i giochi spinti e la mancanza di qualcuno che delimiti i i confini del lecito, e sullo sfondo oltre alla guerra anche la sequela di episodi razzisti che non mancano mai di sconcertare per anacronismo e arretratezza, ma anche la rivalsa di un piccola donna alla disperata ricerca di una guida sicura.

Niente velo per Jasira è tratto dal controverso romanzo Beduina della scrittrice Alicia Erian, il film ha scatenato qualche fisiologica polemica dovuta al titolo originale, Towelhead, letteralmente teste di turbante, un modo dispregiativo di alcuni americani per indicare persone di origini mediorientali, comunque polemica e titolo a parte, il film dell’esordiente Alan Ball, esordiente alla regia perche Ball è un affermato sceneggiatore che ci ha regalato capolavori come American Beauty e che ha scritto episodi per serial cult come Six Feet Under e il recente True Blood, si dimostra maturo, convincente e nonostante lo scottante tema affrontato, di una sorprendente sensibilità.

Se potete accettare tutta una serie di comprensibili e difficili passaggi narrativi che non mancheranno di mettervi a disagio, e parlo naturalmente di tutta la  disturbante sequela di molestie che l’ambiguo Aaron Eckhart, anima nera del film, mette in atto tentando  in tutti i modi di farle  sembrare naturali, potrete apprezzare appieno la sensibilità del tocco umano del Ball neo-regista e vedere trasposta in immagini l’immane esperienza di un grande narratore di vizi e scomode verità che anche in questa nuova veste continua a stupire per efficacia e originalità.