D-Tox: recensione

d-tox1Jack Malloy (Sylvester Stallone) è un agente dell’FBI di Chicago a cui per ritorsione viene uccisa la moglie da uno spietato serial killer in cerca di visibilità, quest’ultimo verrà in seguito trovato morto e il caso sembrerà definitivamente archiviato, ma non il dolore, così Malloy andrà incontro ad una profonda crisi fatta di depressione e alcolismo, fino ad un inevitabile deriva suicida.

Salvato in extremis, con l’aiuto di un amico e collega, il detective Hendricks (Charles S.Dutton), Malloy deciderà di curarsi e passare un periodo di riabilitazione in una clinica molto particolare, un edificio isolato immerso nei gelidi ghiacci invernali del Wyoming, diretto dallo psichiatra John Mitchell (Kris Kristofferson) e che si occupa esclusivamente di poliziotti con situazioni psichiatriche borderline.

Mentre all’esterno una bufera di neve isolerà i partecipanti al gruppo, all’interno  pazienti e personale cominceranno a morire e Malloy capirà ben presto che il suo peggiore incubo sembra tornato

Un thriller dall’ambientazione veramente suggestiva e claustrofobica, Sly si da al thriller e lo fa con l’ennesima trasposizione del giallo Dieci piccoli indiani, naturalmente il racconto della giallista inglese come al solito ispira solo il meccanismo ad eliminazione e l’isolamento.

Il resto è un romanzo di Howard Swindle, un serial-killer da manuale, una location azzeccata e un Tom Berenger che presta per l’ennesima volta il suo volto ambiguo per confodere un pò le carte.

Alla regia il veterano Jim Gillespie, suo il teen-horror So cosa hai fatto e il discreto Venom, in questo caso imbastisce con cura la storia, perde qualche colpo nella parte finale, ma è con la claustrofobica location che fa centro.

Il film alla fine dei conti risulta un discreto thriller, Sly fa il suo dovere, non gli si chiede molto a livello di dialoghi e lo si contorna di un cast capace, D-Tox è un giallo da manuale con qualche puntatina nell’ horror, alla larga i puristi dell’action.