Amelia, recensione in anteprima

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2 luglio 1937 Amelia Earhart (Hilary Swank) e il suo navigatore Fred Noonan (Christopher Eccleston), stanno per affrontare l’ultima tappa di una memorabile tranvolata intorno la mondo, grazie ad un flashback torniamo indietro nel tempo, tra i campi del natio Kansas dove nacque la passione di Amelia per gli aerei.

Una giovane e temeraria donna che negli anni persegue con determinazione il suo sogno di pilotare aereoplani, la vedremo incontrare il magnate dell’editoria George Putnam (Richard Gere) suo futuro marito, e raggiungere risultati e record inpensabili all’epoca sia per un pilota che per una donna, risultati che porteranno la Earhart a trasformarsi in una vera e propria eroina del suo tempo.

Putnam aiuterà la donna a mettere in un libro la sua passione e la cronaca delle sue imprese, ma dovrà ben presto scontrarsi con il rivale Gene Vidal (Ewan McGregor), che con la moglie condivide la passione per il volo e il carattere impetuoso, Putnam riuscirà comunque a riavvicinarsi alla consorte non senza difficoltà, proprio mentre lei sta per affrontare uno dei voli più pericolosi di sempre, cercando di stabilire l’ennesimo record.

L’ultima trasmissione radio pervenuta dall’aereo della Earhart comunicava alla guardia costiera che il carburante stava finendo, come realmente terminò quel volo a nessuno è dato saperlo.

Amelia dopo le feroci critiche ricevute in patria arriva in Italia cercando di raccontarci un personaggio molto popolare negli States, forse proprio per questo particolare severità è stata usata nel giudicare l’operazione, che qui da noi forse troverà qualche fisiologica resistenza da parte del grande pubblico.

la regista di origini indiane Mira Nair (La fiera della vanità) prende molto sul serio personaggio, ricostruzione storica e genere, e dopo aver reclutato una Hilary Swank perfetta per incarnare la protagonista, le affianca due spalle maschili Gere e McGregor non proprio al meglio, la loro performance si assesta sul discreto, per sfornare un biopic nel senso più classico e tradizionale del termine, il che non è un male intendiamoci, ma una certa mancanza di coinvolgimento emotivo fa dell’operazione una sin troppo pulita docufiction a tinte romance.

Amelia Earhart con la sua vita e in special modo con la sua misteriosa scomparsa è entrata di diritto nella leggenda e nell’immaginario degli americani, una vera icona dell’american dream al femminile che possiamo ritrovare citata ed omaggiata in canzoni, serie tv, e naturalmente al cinema, vedi il recente Una notte al museo 2: la fuga con la deliziosa Amy Adams, questo ha costretto la Nair a trattare forse con eccessivo timore e rigore la materia sfornando una pellicola sin troppo formale, tecnicamente ineccepibile, ma in cui manca l’intento di emozionare sino in fondo lo spettatore.