La stanza del figlio, recensione

Giovanni (Nanni Moretti) è uno psicanalista con un lavoro che lo porta a contatto con personaggi di varia umanità e una bella famiglia composta dalla moglie Paola ((Laura Morante) e dai due figli adolescenti Irene (Jasmine Trinca) e Andrea (Giuseppe Sanfelice).

La vita per Giovanni scorre piuttosto tranquilla tra un paziente e l’altro e un quotidiano in casa fatto di piccoli gesti, qualche naturale conflitto e più che altro un crescere ed imparare reciprocamente il difficile mestiere non solo di genitori, ma anche di figli.

Improvvisamente però questo equlibrio vacilla sino a perdersi in una tragedia che colpisce l’intera famiglia, il figlio Andrea perde la vita per una tragica fatalità durante un’immersione, questa bomba emotiva deflagra all’interno del nucleo famigliare portando Giovanni, la moglie e la figlia dopo una disperazione che in principio li unisce nel dolore, ad intraprendere tre diversi percorsi nell’elaborazione di un lutto devastante.

Sarà la lettera di una ragazza che aveva conosciuto e si era innamorata di Andrea a porre le basi su cui ricostruire un minimo di vissuto a cui aggrapparsi per, un passo alla volta, rendere il dolore un pò più sopportabile e poter così tornare ad un quotidiano perlomeno vivibile.

Moretti dopo il suo Aprile approda a Cannes nel 2001 con una pellicola piuttosto coraggiosa se paragonata alle sue precedenti prove, visto che si discosta dalla tematica a sfondo melanconico-politico che gli ha permesso di conquistarsi una folta schiera di fedelissimi ammiratori, nonchè di contro un’altrettanto folta schiera di detrattori a prescindere.

In questo caso Moretti prova a parlare ad un pubblico più ampio affrontando una tematica tanto universale quanto emotivamente ostica come l’elaborazione di un lutto e la devastante perdita di un figlio, supportato in questo caso da una messinscena sobria e una co-protagonista, un’intensa Laura Morante che si cimenta in una memorabile interpretazione.

Moretti comunque accontenta in parte il suo pubblico di aficionados con la prima parte della pellicola dove la liturgia morettiana fatta di volti noti, tic ed idiosincrasie fa il suo inevitabile corso, poi nella seconda parte in cui il dolore e la perdita di lucidità dei protagonisti entrano prepotentemente in scena il regista tenta di ampliare il discorso, di guardare oltre e se a volte c’è una mancanza di consolidamento emotivo nel tratteggiare il protagonista Giovanni compensato in parte dalla performance della Morante, il resto della messinscena ha un’elevata capacità di coinvolgere creando di fatto un’indubbia empatia con i protagonisti su schermo.

Note di produzione: Nel cast come pazienti troviamo Silvio Orlando che ritroveremo ne Il caimano e Renato Scarpa in Habemus Papam oltre a Stefano Accorsi e Claudio Santamaria. Il film ha ricevuto diversi premi tra questi una Palma d’oro al miglior film e un premio FIPRESCI al Festival di Cannes 2001, 12 nomination e 3 David di Donatello assegnati al miglior film, miglior attrice protagonista (Laura Morante) e miglior musicista (Nicola Piovani) e infine un Nastro d’argento come miglior film del 2001.