Resident Evil Afterlife 3D, recensione

Dopo un prologo in cui il T-virus miete le sue prime vittime e si espande a macchia d’olio trasformando la popolazione in un’orda di famelici zombie geneticamente modificati, assistiamo all’assalto della sede giapponese della Umbrella Corporation da parte di Alice (Milla Jovovich) e il suo team di letali cloni che affrontano in uno scontro all’ultimo sangue lo spietato Albert Wesker (Shawn Roberts), scagnozzo OGM al servizio della tentacolare corporation scientifica.

Mentre le copie di Alice verranno sterminate insieme alle guardie di sicurezza dell’edificio, quest’ultima avrà uno scontro con Wesker mentre in fuga distruggerà la sede dell’Umbrella e renderà inoffensiva Alice con un’iniezione di antivirus mirata a privare la temibile avversaria dei suoi poteri in costante evoluzione.

Un salto temporale in avanti ci porta tra i ghiacci dell’Alaska dove Alice ritrova Claire Redfield (Ali Larter) mentre è in cerca dell’Arcadia, fantomatica colonia in cui il T-virus non è arrivato e dove si sarebbero riuniti i superstiti del contagio globale, ma Arcadia in realtà non è in Alaska, ma a Los Angeles e non si tratta di un luogo, ma di una nave ancorata al largo della costa californiana. Il problema è che La città degli angeli prolifera di morti viventi e raggiungere l’Arcadia si rivelerà una vera impresa.

Il veterano Paul WS Anderson esperto di cinegame, suoi Mortal Kombat e Alien vs. Predator, riprende in mano la sua creatura lasciata in mano a diversi registi dopo l’ottimo primo episodio che lo vedeva in veste di regista, produttore e sceneggiatore.

Nel frattempo sono passati due capitoli, il discreto Resident evil: Apocalypse che lo vedeva in veste di producer e sceneggiatore e il mediocre Resident Evil: Extinction di Russell Mulcahy, dove Anderson torna a produrre e scrive il soggetto.

Il ritorno di Anderson alla regia per questo quarto capitolo faceva ben sperare anche considerando che l’ultimo capitolo della serie dava vistosi segni di cedimento scopiazzando/omaggiando tutto il filone post-apocalittico e in particolare la trilogia di Mad Max.

Purtroppo con Resident Evil: Afterlife Anderson prosegue la strada intrapresa con il soggetto del terzo capitolo saccheggiando, stavolta ancor più sfacciatamente, qualsiasi fanta-action uscito negli ultimi quindici anni, non limitandosi ad omaggiare questo o quel cult, ma riproponendone inquadrature, personaggi e look regalando così al suo film un reiterato e fastidioso senso di già visto che raggiunge vette insostenibili con sequenze fotocopia dalle trilogie di Blade e Matrix.

Al danno si aggiunge la beffa di un 3D da luna park in cui c’è un continuo ammiccamento allo spettatore con una moltitudine di sequenze in slow-motion che vorrebbero esaltare il modaiolo formato, ma in piu di qualche occasione diventano involontariamente ridicole e sopra le righe.

La trama è inesistente, frammentaria e priva di senso logico, i personaggi che dovrebbero sfoderare un minimo di carisma e un accenno di caratterizzazione hanno lo spessore di un cracker, per non parlare del villain che scimmiotta il Terminator di Schwarzenegger e l’agente Smith di Matrix, trasformandosi in una irritante macchietta che fa rimpiangere l’espressività della sua controparte da consolle.

Anderson prende una cantonata memorabile, gioca a fare John Woo, scopiazza malamente Carpenter e ammicca a Romero dimostrando solo una pigrizia creativa impressionante, trasformando un film tratto da un videogame in un videogame di quart’ordine, solo la carismatica Milla Jovovich rende il tutto minimamente sostenibile, ma anche lei tra un rallenti e l’altro vacilla in più di un’occasione, come del resto noi dopo aver scoperto grazie ad un finale da dimenticare che ci aspetta una quinta puntata.

Note di produzione: nel cast due volti noti del piccolo schermo, il Wentworth Miller di Prison Break e la Ali Larter di Heroes, Anderson per le sequenze in 3D ha utilizzato la macchina da presa concepita da James Cameron per il suo Avatar.