L’uomo di vetro, recensione

Primi anni ’70 Leonardo Vitale (David Coco) detto Leuccio è un ragazzo come tanti cresciuto in quel di Palermo all’ombra di uno zio mafioso, ma tenutosi sempre vicino ad una vita fatta di normalizzante quotidianità con una famiglia che lo ama, una bella fidanzata da sposare e qualche uscita tra amici.

Un giorno però Leuccio presta malvolentieri la sua Fulvia ad alcuni malavitosi che la utilizzeranno per un sequestro, naturalmente la polizia ci metterà pochissimo a risalire al proprietario dell’auto e ad arrestare Leuccio che si troverà così accusato di sequestro di persona finendo in prigione.

Leuccio però è fragile, la sua fragilità lo porterà spinto dal terrore a confessare i nomi delle persone a cui ha prestato l’auto, questo suo gesto e alcune minacce ricevute durante la detenzione incrineranno inesorabilmente la sua psiche che fragile come cristallo andrà in pezzi rendendolo pericolosamente instabile.

Uscito di prigione Leuccio si chiuderà in se stesso, ormai irrimediabilmente scollegato dalla realtà e perso nelle sue paranoie che lo trasformeranno in un recluso in casa propria tra esplosioni di violenza, notti in bianco e suo zio pressato dal boss locale sempre più preoccupato che il nipote vada fuori controllo e parli a sproposito.

Ben presto la malattia avrà il sopravvento e Leuccio diventerà una bomba ad orologeria pronta ad esplodere minando le fondamenta stesse della cupola mafiosa e rompendo così l’omertoso silenzio e il distorto senso dell’onore di cui si era nutrito sin da adolescente.

Così madre e zio per impedire che la mafia faccia il suo corso lo faranno internare chiudendolo in un manicomio, un’esperienza che porterà Leuccio una volta fuori a diventare il primo pentito della storia mafiosa, a fare nomi e a svelare collusioni, svelando così anche il lato più oscuro della sua vita, una scelta questa che alla fine finirà per pagare con la propria vita.

Il regista Stefano Incerti, alla sua terza prova dietro la macchina da presa, sforna un tipico ritratto di mafia in interno mettendo in scena fatti di cronaca, estratti da atti legali e una drammatizzazione tipica di molte recenti pellicole che hanno esplorato la tematica mafiosa ammiccando alle fiction tv di alto profilo, ma rimanendo efficaci ibridi dalla forte impronta cinematografica, vedi I cento passi di Marco Tullio Giordana.

L’ottimo lavoro di ricostruzione di Incerti è supportato da un cast che punta al realismo con un bravissimo David Coco che anche nelle sequenze più impegnative non si lascia mai prendere la mano, lavorando su percettibili e realistiche sfumature evitando inutili e ricercati istrionismi, da segnalare anche la consueta efficacia di Tony Sperandeo, sempre pronto a caratterizzare con dovizia personaggi sempre intensi e spigolosi.