Il Bari Film Festival sfida i pregiudizi con “L’uomo che vide l’infinito”

Ci vuole coraggio per superare i pregiudizi. E’ necessario in tutte le epoche. Ed è cosa antica e scontata, può far scoprire storie incredibili. Sono necessarie la fiducia, la curiosità, la voglia di guardare un po’ più in là.

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Un po’ come fece il professor Godfrey Harold Hardy (1877-1947), esimio e celebre matematico del Trinity College, che nel 1913 accolse un giovane e spiantato indiano, contabile di Madras incapace perfino di indossare un paio di scarpe ma genio dentro, autodidatta con raro istinto per i numeri e le parentesi tonde e quadre e graffe, radici quadre e al cubo che in era scolare tolsero il sonno a molti di noi. Sono loro, il prof e il genio spiantato, i protagonisti di L’uomo che vide l’infinito, il film di Matthew Brown in uscita a giugno con Eagle Pictures, presentato in anteprima al Bif&st, il Bari International Film Festival in corso fino a sabato.

Uscì nel 2003 il libro, appunto L’uomo che vide l’infinito. La vita breve di Srinivasa Ramanujan, genio della matematica che Robert Kanigel ha dedicato alla vera storia del 25enne indiano che, cosciente delle proprie qualità, decise di scrivere una lettera a Hardy per sottoporgli alcune sue idee sui numeri. Il prof, captate le potenzialità del giovane, gli organizzò il viaggio dall’India a Cambridge e ne divenne tutor in un’epoca in cui, era il 1913, gli indiani che mettevano piede in Gran Bretagna non erano quelli che oggi conquistano incarichi di rilievo nella medicina o nelle tecnologie digitali bensì venivano considerati alla stregua di selvaggi, dei Gunga Din di kiplinghiana memoria (“Gunga Din – din – din”, canticchiano dietro al poveretto) indegni di sedere allo stesso desco (anche perché vegetariani laddove al College si cenava a colpi di montone). Del poema di Kipling il professor Hardy sembra far proprio l’ultimo verso, “you’re a better man than I am, Gunga Din”, insomma qualcosa di più di un portatore d’acqua.

Il film racconta un’amicizia robusta di quelle contro tutti e tutto. Nella sua battaglia per l’integrazione di Ramanujan il prof trova la solidarietà solo di John Edensor Littlewood, altro matematico e suo storico collaboratore (interpretato da Toby Jones) e di Bertrand Russell (Jeremy Northam), di vedute più progressiste rispetto all’accolita di tromboni very british che governano i destini degli studenti. Ma sebbene i toni e certe atmosfere siano da canto di Natale, il lieto fine non c’è ma non c’è nemmeno un lieto inizio perché Ramanujan parte per Londra lasciando in lacrime la giovane e bella moglie Janaki e una mamma così adorante da nascondere le lettere che la palpitante nuora vorrebbe venissero spedite all’amato. E quindi equivoci, lui non risponde allora mi ha dimenticata, basta me ne vado, poi scopre la scatola di legno con le lettere mai inviate e capisce.