Il film “Die My Love“, presentato in concorso al Festival di Cannes 2025 e accolto con la première e il red carpet dei suoi protagonisti Jennifer Lawrence e Robert Pattinson il 17 maggio, si insidia nelle profondità della mancanza, del senso di dispersione e dell’assenza di punti di riferimento nella vita contemporanea. Questa pellicola segna il ritorno alla regia dell’inglese Lynne Ramsay, già acclamata per la sua capacità di narrare il malessere individuale e familiare in film potentemente disturbanti come “…e ora parliamo di Kevin” o di esplorare i traumi della guerra in “A Beautiful Day – You Were Never Really Here“.

Alcuni dettagli sul film Die My Love
Il film di Ramsay prende spunto dall’omonimo romanzo di Ariana Harwicz (uscito in Italia come “Ammazzati amore mio”) e si concentra sulla storia di una coppia. Appena trasferiti in una nuova casa, i due fantasticano sul futuro e sulla possibilità di costruire una famiglia, ma con un pre-concetto rassicurante e forse illusorio: nulla di ciò che accadrà cambierà le loro abitudini e le regole disconnesse a cui sono sempre stati ancorati.
Questa resistenza al cambiamento diventa il motore narrativo quando, con l’arrivo di un figlio, la bolla in cui vivono, caratterizzata da comportamenti fuori dalle righe e musica ad alto volume, inizia a mostrare le prime crepe. Protagonisti sono Grace, interpretata da una Jennifer Lawrence inedita e intensa, una scrittrice in crisi d’ispirazione, sensuale ma in lotta con i propri demoni, e Jackson (Robert Pattinson), il compagno senza un lavoro stabile, che cerca di sostenere economicamente la famiglia con viaggi occasionali.
La loro esistenza “hippie e rock” prosegue anche dopo la nascita del bambino, quasi come se la nuova creatura fosse un elemento aggiuntivo ma non trasformativo della loro vita, qualcosa di cui prendersi cura senza però assumersi ulteriori responsabilità che vadano oltre la semplice routine del “vivere alla giornata” tra birre e disordine.
Il vero punto di rottura, tuttavia, si manifesta in Grace. Quella che potrebbe essere una crisi esistenziale a lungo celata esplode nella forma di una grave depressione post-partum. Contrariamente a chi le suggerisce che sia solo un momento transitorio, il suo stato si aggrava in un delirio ossessivo e psicotico, alienato, scandito da scatti d’ira violenti alternati a momenti di fragile quiete.
La sua sofferenza è tangibile e disturbante, espressa attraverso gesti autolesionistici e distruttivi. Lynne Ramsay costruisce un film che è fin dalle prime scene invasivo e faticoso da sopportare. Amplifica il disagio interiore di Grace con rumori di fondo molesti, musica assordante e il latrare incessante di un cane, quasi a rendere l’esperienza dello spettatore parallela al caos mentale della protagonista.
Nonostante la crudezza, il film si offre anche come un racconto potente sulla condizione femminile e sull’incapacità del mondo di comprendere e accogliere la sofferenza, il disagio e l’emarginazione di certe esperienze, rivendicando quasi il diritto all’irrazionalità come espressione estrema di disperazione. La performance di Jennifer Lawrence è in questo senso fondamentale, offrendo una rappresentazione autentica ed estrema di questa dolorosa condizione.