Destini incrociati, recensione

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Due coppie di coniugi, la prima è formata da William (Harrison Ford), detective della polizia di Chicago assegnato agli Affari interni impegnato ad incastrare poliziotti corrotti, e Peyton (Susan Thompson) una stilista di successo spesso impegnata in prolungate trasferte di lavoro.

La seconda coppia vede Kay (Kristin Scott-Thomas) candidata al Congresso, madre di un’adolescente e impegnatissima nella sua campagna elettorale e Cullen (Peter Coyote) affermato avvocato, anche quest’ultimo spesso in viaggio per lavoro.

I destini di queste due coppie si incroceranno quando William perderà la moglie in un disastro aereo in contemporanea con Kay, anche lei rimasta vedova a causa del medesimo incidente.

In realtà la moglie di William e il marito di Kay avevano da tempo una relazione, che veniva consumata a distanza, grazie ai vari viaggi che la coppia di fedigrafi sincronizzava ad arte per ogni occasione, all’insaputa dei rispettivi partner, che ora si trovano, causa l’incidente e le vittime che condividono, a confrontarsi con un doppio dolore, quello per il tradimento scoperto ed il lutto subito.

William comincerà ad indagare e si troverà ad incontrare  Kay, i due condivideranno lo stupore, il dolore, la rabbia e la rassegnazione, uno scambio emotivo ed una condivisione che finirà per avvicinarli oltremodo, sino a farli innamorare l’uno dell’altra, non senza prima aver elaborato il lutto intraprendendo un percorso irto di dolorosi ostacoli emotivi.

Il regista Sidney Pollack (Sabrina) adatta per il grande schermo un racconto dello scrittore americano Warren Adler, sfornando un ridondante melò-romance con due protagonisti sottotono e un pò spaesati, alle prese con uno script che gioca troppo con coincidenze e destino per essere credibile e in minima parte coinvolgente.

Dopo un incipit che poteva far presagire un’interessante digressione su amore, tradimento e fato, la pellicola ha un tracollo, i due protagonisti trasmettono poca partecipazione e si trovano a dover bilanciare su schermo una serie infinita di emozioni/reazioni che si perdono lungo uno script che spiace dirlo, considerando anche la caratura di cast e regista, sconfina a più riprese nel prevedibile.