40 anni vergine, recensione

Andy Stitzer (Steve Carell) lavora come commesso in uno store di elettronica, la sua timidezza e l’incapacità di relazionarsi con l’altro sesso lo hanno portato a superare la soglia dei quarant’anni praticamente illibato.

Stitzer è un raro caso di quarantenne vergine e il suo segreto ben presto verrà alla luce con tutte le imbarazzanti conseguenze del caso, sfottò da parte degli insensibili e un pò truci colleghi di lavoro, proposte indecenti dalla direttrice del reparto vendite, seguite da una serie di strampalati consigli su come superare l’imbarazzante empasse.

Dopo aver cercato di schivare proposte e consigli Stitzer capitolerà provando a seguire qualche dritta dei suoi colleghi di lavoro finendo in situazioni al limite dell’assurdo non riuscendo comunque a risolvere il suo problemino. Ci penserà il destino a fargli conoscere una bella madre single con cui Stitzer instaurerà una bella amicizia.

Dopo qualche uscita però la donna comincerà a preoccuparsi, se in un primo momento la mancanza di avance da parte di Andy l’avevano fatta ben sperare sulla serietà delle intenzioni di quest’ultimo, il protrarsi di questa relazione platonica comincerà a creare qualche dubbio.

Debutto alla regia per il futuro mago della comedy made in Hollywood Judd Apatow e primo film da protagonista per Steve Carell dopo apparizioni in Una settimana da Dio, Anchorman e Vita da strega.

bisogna ammettere che è la verve di Carell a tenere insieme un copione stracolmo di stereotipi sessuali e in cui il tasso di volgarità tocca punte davvero notevoli, ma la furba confezione e una serie di gag davvero irresistibili permettono ad Apatow e colleghi di portare a casa il risultato.

E’ indubbio che in 40 anni vergine si rida a corrente alternata e non sempre con intelligenza, ma il talento di Carell funge da collante ad uno script che comunque nel bene e nel male descrive un target di uomini che è sempre esistito e che l’avanzare di un’insicurezza economica e lavorativa che affligge i giovani d’oggi è destinato a far lievitare di numero.

Il fattore sessuale è solo un escamotage narrativo su cui Apatow imbastisce il suo goliardico teatrino comico alla Porky’s, ma la sindrome di Peter Pan è un elemento decisamente realistico che dona alla pellicola una marcia in più rispetto al genere.

Note di produzione: nel film compare Seth Rogen che insieme agli attori Chris Rock, Will Ferrell e appunto Steve Carell ha creato una vera e propria cerchia di autori ed attori guidata dal regista, sceneggiatore e produttore Judd Apatow che nel giro di qualche anno e di qualche pellicola campione d’incassi conquisterà le vette di Hollywood. Carell è anche protagonista da sei anni del fortunato serial-remake The Office.