Parnassus-L’uomo che voleva ingannare il diavolo, recensione

la-locandina-italiana-di-parnassus-l-uomo-che-voleva-ingannare-il-diavolo-134297 []Il dottor Parnassus (Christopher Plummer) ha il potere di risvegliare e materializzare i sogni, grazie al suo spettacolo itinerante e ad uno specchio magico che gli permette ad ogni esibizione di far vivere agli avventori una grande magia, ma dietro al potere di Parnassus e alla sua immortalità si cela un patto con il diavolo che ben presto esigerà di riscuotere il pagamento pattuito.

Ci fermiamo qui, Parnassus-L’uomo che voleva ingannare il diavolo come avrete intuito è una rilettura visionaria e barocca del Faust, purtroppo anche questa ennesima opera porta l’infausta firma del destino avverso e della sfortuna, che sembra non voler dar pace al visionario regista americano, minandone sistematicamente opere e sforzi, stavolta con l’improvvisa morte del protagonista Heath Ledger sostituito in corsa da un terzetto di talentuosi alter ego Johnny Depp, Jude Law e Colin Farrell.

Preparatevi ad un immersivo e fantasmagorico viaggio tra i baracconi di un Luna Park in cui la realtà è uno scomodo orpello da lasciarsi alle spalle, la fantasia regna sovrana sul palcoscenico di Gilliam e su tutto lo script, leggero come una piuma e concepito come una tela bianca su cui il regista possa far sfogare l’eterno bambino che giace in lui, un bambino che nasconde in sè luce e oscurità e li miscela con arguzia, plasmando a sua immagine e somiglianza sogni, visioni e fiabe come il suo collega Tim Burton, con una teatralità meno gotica, ma ugualmente barocca.

Ledger ci saluta con un personaggio misterioso, scampato alla morte che si unisce alla compagnia itinerante di Parnassus, viaggiando tra le dimensioni fantastiche create da Gilliam con una leggerezza che incanta, i suoi tre alter ego si prestano al gioco entrando senza sforzo nel rompicapo illusorio e onirico creato dal dottor Parnassus/Terry Gilliam.

Barocco, eccessivo, coinvolgente, ma anche sfrontato nel maneggiare immaginario e sogni, ogni tanto durante la visione si ha la sensazione di perdere qualche frammento, soverchiati dalla forza delle immagini, ma forse è proprio questa la bellezza di un’operazione del genere, un ultimo sentito omaggio ad un talento andato perduto e una sarcastica riflessione sul concetto stesso di immortalità.