La versione di Barney, recensione in anteprima

Il cinico produttore di soap Barney Panofsky (Paul Giamatti) si trova suo malgrado a doversi difendere dal suo nemico di sempre che ha appena pubblicato un libro in cui in alcuni capitoli svela dei passaggi piottosto compromettenti della sua vita, costringendolo a farsi avanti e a cimentarsi con una lunga e sentita confessione che attraversa quarant’anni di vissuto e tre matrimoni tutti a termine, le cui protagoniste femminili, proprio come episodi delle sue soap di basso profilo, hanno contrassegnato altrettanti capitoli della sua rissosa vita all’insegna del politicamente scorretto.

Purtroppo la memoria ormai latitante e l’alcool inseparabile compagno di troppe fughe dalla realtà trasformano e a volte arricchiscono il racconto di Barney che partendo dal suo quartiere in quel di Montreal arrivando a transitare in quel di Parigi, dovrà anche rivangare il rapporto con il padre (Dustin Hoffman) e la dipartita dell’amico Boogie, un episodio quest’ulltimo ancora nebuloso che lo ha visto additato tra i presunti responsabili.

Una bella sfida produttiva quella intrapresa per adattare il voluminoso  romanzo dello scrittore canadese Mordecai Richler, romanzo che anche in Italia dieci anni or sono lasciò il segno divenendo un caso letterario con un exploit di copie davvero notevole, tutti elementi che rendono la pellicola diretta dal regista televisivo Richard J. Lewis un progetto davvero ambizioso e non privo di rischi.

La versione di Barney, dopo 12 anni di gestazione, su schermo diventa un buon compromesso, che trascende lo spirito del romanzo adattandolo, senza stravolgimenti ai naturali bisogni di uno script cinematografico, la carta vincente, quella che rende metabolizzabile l’ammordimento delle numerose spigolosità presenti nel libro e l’omogeneità della narrazione accentuata dalla regia sin troppo uniforme di Lewis, è la scelta del protagonista Paul Giamatti, che oltre a sfoggiare il consueto repertorio da caratterista di razza, modella il Barney letterario adattandolo alla sua aria tra il sornione e il malinconico, lasciando che la rissosa e sboccata acredine dell’originale sia materia prima politicamente scorretta nelle mani di un Dustin Hoffman pronto a sobbarcarsene il peso.

Naturalmente chi ha amato il libro e ne ha fatto un suo cult forse troverà troppo edulcorata questa trasposizione, troppo figlia di compromessi, fatto sta che Giamatti ed Hoffman si ritagliano due personaggi memorabili e ricchi di spessore che arricchiscono e danno lustro all’intera operazione regalandole una sorprendente carica di umanità.

In sala dal 14 gennaio 2011

Note di produzione: tra i produttori del film c’è anche Domenico Procacci con la sua Fandango, il libro in Italia ha sfondato il tetto delle centomila copie, il film è stato presentato in concorso alla sesantasettesima Mostra del Cinema di Venezia.