ACAB, recensione in anteprima

Cobra (Pierfrancesco Favino), Negro (Filippo Nigro) e Mazinga (Marco Giallini) sono i nomi di battaglia di tre agenti di polizia del reparto mobile di Roma, tre celerini con il pelo sullo stomaco, un’indole per la violenza e un credo politico che li tiene uniti come fratelli, intenti a coprirsi le spalle a vicenda sia quando sono in servizio tra stadio, manifestazioni e sgomberi di case popolari, sia quando inevitabilmente qualcuno di loro calca la mano e rischia un richiamo formale o peggio ancora di essere buttato fuori dal corpo. Alla squadra dei tre agenti da qualche tempo si è unita la giovane recluta Adriano (Domenico Diele) che ha scelto il reparto mobile per questioni economiche e che si ritrova a dover scendere a compromessi con la sua moralità e con la divisa che indossa, solo per poter far parte di una sorta di squadra nella squadra formata dai suoi tre colleghi, tutti reduci dal famigerato G8 di Genova e tutti con i loro problemi personali: Cobra sta affrontando una denuncia per aggressione, Negro ha divorziato dalla moglie che non gli vuol far vedere la sua bambina e Mazinga si trova alle prese con un figlio adolescente ribelle, che odiando tutto ciò che il padre rappresenta si troverà coinvolto con un movimento di estrema destra composto da facinorosi.

Debutto su grande schermo per Stefano Sollima, regista con alle spalle una lunga gavetta televisiva tra cui spicca la serie tv Romanzo Criminale e diverse fiction a sfondo poliziesco come Distretto di polizia, R.I.S., e La squadra. Sollima mette a frutto una tangibile conoscenza dei meccanismi e delle suggestioni del cinema di genere già ampiamente dimostrata nel formato televisivo, portandola su grande schermo con tutti i crismi della drammatizzazione cinematografica, una regia di alto profilo e reclutando la stessa squadra con la quale ha creato il fenomeno del Romanzo Criminale televisivo, team che include sceneggiatori, direttore della fotografia e montatore, oltre a due attori transitati nella serie tv, Marco Giallini (Il terribile) e Andrea Sartoretti (Bufalo).

A.C.A.B. schiva con sorprendente destrezza retorica, demagogia e senza dubbio una visione eccessivamente politica della tematica, qui siamo di fronte ad un film che denuncia un’emergenza sociale, sulla scia di film come l’Ultrà di Ricky Tognazzi piuttosto che il successivo Teste rasate di Claudio Fragasso non sacrificando mai l’elemento intrattenimento arricchito di suggestioni che ammiccano dall’ormai defunto poliziesco all’italiana.

Certo il film di Sollima non è immune da una recitazione all’insegna dell’enfatico, ma in questo caso ci pensa il talentuoso cast, su cui svetta un carismatico e tormentato Pierfrancesco Favino, a smussarne gli eccessi e a mantenere personaggi testosteronici e caratterizzazioni forti entro i limiti di un accettabile realismo, ma la cosa più importante e che Sollima non cerca di propinarci una fiction di lusso spacciandola per lungometraggio cinematografico, cosa che purtroppo nel nostro cinema accade troppo spesso, ma punta ad un film schietto, fruibile e che parla la lingua dello spettatore che è quella di un cinema genuino capace di scrutare nel quotidiano.

Nelle sale a partire dal 27 gennaio 2012

Note di produzione: il film pur essendo basato sul romanzo A.C.A.B. di Carlo Bonini presenta sostanziali differenze dal libro, prima fra tutte la creazione da zero della recluta Adriano che prende il posto del personaggio chiamato Sciatto, l’eliminazione del capo Fournier e la suddivisione in tre distinti personaggi (Cobra, Negro e Mazinga) del celerino Drago.

6 commenti su “ACAB, recensione in anteprima”

  1. Caro Pietro,
    questa volta non mi trovo d’accordo con la tua recensione, almeno in alcuni passaggi.
    Personalmente credo che l’unico elemento positivo del film sia un’indubbia buona regia, ma non è sufficiente per accostare questo film a ottimi prodotti come Teste Rasate e Ultrà.
    A mio parere la trama è molto debole, i personaggi sono poco credibili e spesso sopra le righe (vedi il potenziale streep tees davanti al Parlamento, solo per citare un passaggio del film).
    Come giustamente ricordi tu, questi sono film che pescando dalla realtà, denunciano il degrado e il “gioco” della violenza legato a doppio vincolo al disagio sociale.
    In ACAB tutto questo non c’è o almeno non è facilmente decifrabile.
    Non ci si sofferma su una categoria sociale definita come gli “Ultrà” o “gli estremisti di destra”, ma su una categoria non ben definita . . i “poliziotti” forse (?), tutti i poliziotti o solo tutti i “celerini” (?), o solo alcuni “celerini” (?).
    Ritengo che un film di genere, o almeno di questo genere :-), debba sempre rimandare un messaggio chiaro, come in Teste Rasate o Ultrà dove è evidente che la violenza porta solo ad altra violenza che si conclude con una tragedia, qui il messaggio qual’è??
    I celerini sono uguali agli estremisti di destra? Tutti i poliziotti sono bastardi o solo alcuni??Oppure ancora peggio, se sei di periferia sarai sempre un violento sia che tu faccia il polizotto sia che tu faccia il picchiatore da stadio o da piazza??
    Inoltre il grosso del film si poggia su personaggi poco credibili, più simili alla banda della Magliana che a poliziotti e su un’apparente assenza di un’istituzione in grado di limitare “guardie” deviate, per non parlare del finale.
    Non lo scrivo per i lettori che vogliono vedere il film, ma l’inesistenza di una controparte “positiva anziana” ai vari Cobra, Mazinga etc. è un evidente limite quando si tratta con temi delicati come l’ordine e il disordine pubblico.
    In Platoon, solo per fare un esempio, che tratta della guarra (tema altrettanto delicato) la recluta deve scegliere fra l’aziano buono Elias (il bene) e l’anziano cattivo Burns (il male), in Acab il “bene anziano” non esiste fino a pericolosi accostamenti a Serpico.
    Comunque ci sarebbe molto altro da dire, ma per evitare di anticipare troppo per chi vorrà vedere il film mi fermo, con la speranza che in futuro, trattando soggetti così complessi come le Forze dell’Ordine non si banalizzi i personaggi a quattro soggetti prelevati dalla “macelleria messicana” :-).
    Grazie dello spazio!
    Ip

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  2. @ Ipercritico:
    Capisco pienamente il tuo punto di vista, ma purtroppo è quello che impedisce al cinema di genere italiano di tornare a regalare film che vadano oltre la visione politica o ad una credibilità che di fatto cozza con un cinema d’intrattenimento come ad esempio è quello americano. Nessuno all’epoca del poliziesco all’italiana pensava al commissario di Maurizio Merli come credibile mentre ne scriveva o al Gobbo di Tomas Milian come troppo enfatico mentre recitava il suo celeberrimo discorso nel night club. Questo è il grosso problema di un cinema italiano ostaggio di una visione forse un tantinello snob dellla Settima arte, Qui non è una questione di credibilità dei personaggi, Sollima come nel suo Romanzo Criminale televisivo ha confezionato un film di genere, termine che oggi come oggi sembra una parolaccia e lo ha fatto senza snobbismi e con particolare coraggio vista la tematica affrontata e la chiacchieratissima controparte cartacea. Che il film abbia dei difetti è indubbio, ma attenzione perchè se si cerca la credibilità è meglio gustarsi un bel documentario o guardarsi un servizio di Report, perchè il cinema italiano in questo momento ha bisogno di tornare ad un cinema di genere che gli dia una boccata di ossigeno, che vada oltre l’inflazionatissima commedia e il cinema d’autore, un cinema sanguigno, schietto e perchè no sopra le righe e poco “credibile” e da appassionato di questo cinema considerato da molti “basso”, spero vivamente di vedere altri film come quello di Sollima in futuro.

    Grazie per il commento 🙂

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  3. Caro Pietro,
    entrambi i personaggi che hai citato, seppure molto diversi tra loro, riuscivano a rimandare al pubblico l’immagine di un poliziotto positivo, anche se politicamente scorretto come nel caso del “Monnezza”, e assolutamente credibili perchè, a loro modo, perseguivano l’obiettivo di acciuffare i ladri (che è poi quello che ci si aspetta da uno sbrirro, burbero o erudito che sia).
    Io come te adoro il film di genere, ma credo che non debba mai perdere di vista il messaggio, non necessariamente politico (comunque presente in molti horror come nel caso del buon Romero o di Carpenter).
    Cobra, Mazinga e company si allontanano anni luce da Merli e Tomas Milian e questo credo sia evidente, non è mettendo qualche parolaccia qua e là, un pò di violenza e una divisa che li si rende credibili.
    Come ho detto buona regia, ma vorrei che Sollima non sfruttasse soggetti politicamente strumentalizzati (lo ha fatto lui scegliendo il libro Acab, non lo faccio io o lo spettatore in genere commentando il film) e ci regalasse, perchè sono convinto sia in grado di farlo, personaggi come quelli messi sullo schermo in passato, concordando con te che il cinema italiano ne abbia un estremo bisogno.
    Grazie della risposta!I
    Ip

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  4. @ Ipercritico:

    Il problema di fondo come hai detto tu è il libro, che ha innegabilmente dettato un fil rouge narrativo imprescindibile dal contesto politico, anche se ripeto Sollima ha voluto fare un film di genere e si vede dalle scelte di regia e dalle performance degli attori. Quello che spero è di rivederlo su grande schermo alle prese con uno script originale, che allontani ogni influenza nefasta che affligge purtroppo molto cinema italiano e che ahimè continuo a notare va ben oltre la mera valutazione filmica, che è quella che alla fine rende un film godibile o meno. Vediamo se i produttori daranno un’altra chance a questo regista evitando di relegarlo, come accaduto a suo tempo con Michele Soavi, entro i confini del piccolo schermo. 🙂

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  5. @ Pietro Ferraro:
    Concordo pienamente e invito tutti i produttori possibili a dargli un’altra chance, secondo me potrebbe fare molto ma molto meglio ma molto meglio. 🙂
    Ip

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