Recensione: Jerichow

 

 

Al via la presentazione ufficiale nella sezione concorso del nuovo lavoro di Christian Petzold: Jerichow alla 65 edizione del Festival del Cinema di Venezia.

 

Petzold è uno dei più importanti registi del Nuovo Cinema Tedesco, venuto alla luce lo scorso anno al Festival di Berlino con Yella, spingendo la protagonista Nina Hoss, alla sua quarta collaborazione, verso l’Orso d’Argento come miglior interprete.

 

Al di fuori dei soliti percorsi di vita tre persone fanno un incontro decisivo. Thomas (Benno Furmann), giovane e forte, è congedato dall’esercito con disonore. Ali (Hilmi Sozer), un affabile uomo di affari turco, ha attraversato periodi difficili, ma ora la sua unica preoccupazione è che i dipendenti del suo bar non lo imbroglino. Laura (Nina Hoss), un’affascinante donna dal passato oscuro, sembra trovare rifugio tra le ombre del suo matrimonio con Ali.

 

Thomas, Ali e Laura si tengono d’occhio a vicenda nascondendo ciascuno i propri segreti. Cercano amore ma anche sicurezza. Credono di essere indipendenti e quello che desiderano può essere conquistato solo con il tradimento.

 

Le persone alla ricerca di un posto sicuro mi hanno sempre interessato ci fa sapere Petzold, così come quelle che riescono a destreggiarsi tra tutti gli imprevisti. Spesso queste persone sono introverse, sono come delle isole. Il concetto di isolano fa pensare a Robinson Crouse: le vie di scambio, il capitalismo moderno, il tentativo delle persone di comprenderlo e di ricominciare daccapo. Ma appena altre persone, l’amicizia e l’amore si intromettono, tutto crolla.

 

“Non puoi amare se non hai soldi” sostiene Laura. Lei non vuole comprare nessuno e non ha bisogno di una casa. Lei ha bisogno di soldi per essere indipendente. Agli uomini questo non piace e si arriverà ad un crimine nella storia. In Jerichow non c’è scena in cui i soldi non giochino un ruolo, come immagine, come valore, come tradimento o materia di scambio. Si percepisce la sensazione del denaro infiltrato nel film, tra le immagini e i personaggi, facendo scorrere la storia.

 

Sostenuto da una eccellente e luminosissima fotografia, Petzold svela la sua storia con la logica della tragedia greca, tra le migliori mai girate dal regista. I tre protagonisti, che tentano soltanto di vivere un’esistenza decente, non sono vere allegorie dell’Est o dell’Ovest o di un sistema economico, e i loro drammi personali sono, per questo, ancora più accattivanti.

 

Un buon film, scorrevole, intrigante con un finale per niente scontato.