Io non ho paura, recensione

Il piccolo Michele (Giuseppe Cristiano) è un ragazzino di dieci anni che vive un’infanzia condivisa con molti altri suoi coetanei che abitano piccoli paesini del sud italia con giochi all’aria perta, biricchinate condivise con la sorellina e un padre spesso assente a causa di un lavoro da camionista che lo porta spesso lontano da casa.

La vita di Michele sarà sconvolta da una terribile scoperta fatta per puro caso mentre insieme alla sorella ed alcuni amici gioca nei pressi di una casa diroccata, all’interno di un buco Michele scorge un ragazzino che vive segregato divenuto quasi cieco a causa dell’oscurità perenne che lo avvolge, dopo un primo e comprensibile spavento Michele tornerà dal ragazzino e instaurerà un legame con il piccolo prigioniero, portandogli acqua e cibo e tenendogli compagnia.

La verità ben presto però verrà a galla con tutto il suo carico di orrore, il ragazzino è Filippo Carducci vittima di un sequestro avvenuto nel nord italia di cui il padre di Michele è complice, l’arrivo in paese della banda di sequestratori intenzionati ad eliminare l’ormai scomodo ostaggio scatenerà la reazione di Michele e sarà l’anticamera di una tragedia annunciata.

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Pearl Jam raccontati da Cameron Crowe

In Shine a light Martin Scorsese raccontava l’inesauribile energia dei mitici Rolling Stones, in Anvil!-The story of Anvil, in uscita in questi giorni negli states, assistiamo ad un nostalgico memorabilia degli Anvil di ieri e di oggi e si racconta una rock band che è stata fonte d’ispirazione per molti gruppi, come ad esempio i Metallica, che in questi ultimi vent’anni hanno riempito stadi e scalato classifiche.

E’ su questa linea che il regista Cameron Crowe, suoi il malinconico Quasi famosi ed il remake Vanilla sky, ha deciso di festeggiare i vent’anni dei Pearl Jam utilizzando il documentario musicale per raccontare la band di Seattle che ha lanciato il fenomeno del Grunge ed ispirato band del calibro di Nirvana ed Alice in chains.

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Gabriele Salvatores: cineasta da romanzo

Prima di dare fondo alle notizie, e sono molte, raccolte per questa monografia, spendiamo due parole per uno dei più originali e spiazzanti registi italiani, Gabriele Salvatores, che con il suo Mediterraneo, ha rappresentato l’Italia nel mondo accaparrandosi un Oscar, ma non si è mai adagiato sul filone che lo ha così tanto gratificato, non ha soffiato su un fuoco per goderne fino all’ultimo il calore creativo, ma ha rischiato, esplorato, sperimentato generi, concetti, suggestioni, a volte con risultati discutibili, ma mai risultando banale, mai propinandoci una minestra riscaldata e in tempi pre-Gomorra, artisticamente aridi, ogni suo film innescava nuove domande, esplorava nuove strade, sempre con un’impronta registica immediatamente riconoscibile.

Salvatores nasce a Napoli il 30 Luglio del 1950, ma è Milano dove si trasferisce giovanissimo che lo forgia artisticamente, diploma al liceo Beccaria e poi il teatro, palestra di  anima e concetto, e Salvatores prima si iscrive all’Accademia del Piccolo Teatro, poi cresciuto e artisticamente maturo fonda il Teatro dell’Elfo è il 1972, dove saggia le sue capacità, dirigendo diversi spettacoli, che per contenuti e concezione visiva venivano allora definiti d’avanguardia, un’esperienza che porterà avanti fino al 1989.

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Milk, in America esce il nuovo capolavoro di Gus Van Sant

In attesa che arrivi nelle nostre sale, diamo una sbirciata a Milk, ultima opera di Gus Van Sant, regista geniale, autore di un cinema visivamente sovversivo e all’avanguardia che ad ogni film stupisce per la capacità di rinnovarsi, pur sfornando prodotti appetibili per un target di pubblico molto variegato.

Milk è la storia del primo politico ad aver fatto outing, cioè aver dichiarato apertamente la propria omosessualità, ma come ci raccontano anche recenti fatti di cronaca, questa scelta può rivelarsi un’arma a doppio taglio, e come nel caso di personaggi pubblici, far scattare meccanismi violenti ed estremismi, Harvey Milk viene ucciso il 27 Novembre 1978, insieme al sindaco di San Francisco, dopo essere stato eletto consigliere comunale ed aver fatto approvare una proposta di legge sui diritti dei gay.

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Claudio Bisio e il suo rapporto con il cinema

Alcuni attori comici hanno saputo esprimere la loro versatilità, in diverse forme di comunicazione. Molti sono emersi grazie al successo televisivo, altri sono partiti dal teatro, quasi tutti sono approdati al cinema.

Uno tra tanti è Claudio Bisio che approda al grande schermo nel lontano 1989, in un film di Giuseppe Bertolucci, I cammelli, affiancato da Diego Abatantuono, Sabina Guzzanti, Ennio Fantastichini e Laura Betti. Inizia la sua collaborazione con Gabriele Salvatores, ed eccolo nel 1990 in Turné, nel 1991 è nel cast del film vincitore dell’Oscar, Mediterraneo, nel 1992 in quello di Puerto Escondido, nel 1993 in Sud e nel 1996 in Nirvana.

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Silvio Orlando: la storia del trionfatore dell’ultimo Festival di Venezia

Un nome, una garanzia per il cinema italiano, attore sobrio e misurato, Silvio Orlando si presenta come uno degli attori più verstaili del cinema del nostro paese, forte di una recitazione sobria e misurata, graditissima al grande pubblico.

Gli esordi per Silvio Orlando sono teatrali e televisivi poi, ma grazie a Gabriele Salvatores avviene il passaggio al grande schermo, anche se in punta di piedi: gli offre infatti un piccolo ruolo in Kamikazen – Ultima notte a Milano, dell’ormai lontano 1987.

Nel 1991 recita in Il portaborse, per la regia di Daniele Luchetti, e nel 1993 viene diretto per la seconda volta da Gabriele Salvatores , stavolta da protagonista, insieme ad Antonio Catania, in Sud.

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