Recensione: Racconto di Natale

Abel e Junon Vuillard hanno due figli, Joseph ed Elizabeth, il piccolo Joseph soffre di una rara malattia che lo costringe ad un trapianto, ma i tentativi di compatibilità tra i familiari sono fallimentari, nessuno di loro è un potenziale donatore. La coppia disperata compie un gesto d’amore estremo, mette al mondo un terzo figlio, Henri, con il solo scopo di avere un donatore compatibile, ma purtroppo anche questo ennesimo tentativo fallisce e Joseph muore a soli sette anni.

Passano gli anni, nasce un quarto figlio, Ivan, il trauma della perdita sembra essere stato metabolizzato, ma cosi non è, la scoperta di Junon di avere la stessa malattia del figlio deceduto, espone la famiglia a nuove e dolorose scelte. Ci sono due possibilita’ per Junon, una è che il donatore possa essere il figlio Henri, con il quale purtroppo i rapporti sono estremamente difficili, o  in alternativa l’irrequieto nipote Paul, figlio di Elizabeth, la quale, dopo aver aiutato il fratello Henri in un momento economico molto difficile, ha troncato completamente i rapporti con quest’ultimo. Il Natale è alle porte e una riunione di famiglia diventa l’occasione per riaprire vecchie ferite e curarne di nuove, il tutto in una sorta di grande e liberatoria catarsi dai sorprendenti risvolti.

Racconto di natale è un film corale che per vari aspetti si differenzia molto dai classici francesi che potrebbero essere usati come punti di riferimento, se non da quello stilistico, almeno dal lato narrativo, Questa pellicola, sembra un elemento estraneo nella filmografia in questione, miscela il cinema americano di Altman e kasdan filtrandolo con lo sguardo autoriale, intimista e a tratti teatrale del miglior cinema francese. Tratteggia caratteri in profondità,  a volte anche troppo, senza rinunciare ad una descrizione visiva satura di colori e suggestioni emotive che permettono un pieno godimento di tutta la storia, anche se a volte la sceneggiatura risulta eccessivamente dispersiva, proprio perchè imbocca bivi narrativi che sembrano a prima vista inutili, ma che se esplorati a fondo,  contribuiscono ad affrescare un colorato e frizzante quadro d’insieme.

Arnaud Desplechin è un ottimo mestierante e si vede, tenere sotto controllo una storia così densa di personaggi ed una sceneggiatura a tratti prolissa, ma mai banale, satura di dialoghi e sfumature, non è cosa facile, ma il regista riesce ad imbrigliare visivamente il tutto, senza perdere pezzi lungo la strada, e il coinvolgimento dello spettatore sembra un obiettivo raggiunto.

Il cast è all’altezza della messinscena, Catherine Deneuve (Junon) è una certezza, Mathieu Almaric (Henri) una conferma, tutti gli attori si adoperano e lavorano in sincrono, per mantenere un equilibrio che rischia a volte di cadere nella caricatura involontaria, rischio che però si sfiora solamente, perchè questo ritratto di famiglia risulta sorprendentemente pieno di verve. Le riflessioni finali le lasciamo agli spettatori, ma una conclusione dopo la visione di questo film è certa, che il tempo curi tutte le ferite, in questo caso è cosa ancora tutta da dimostrare.