Recensione: Frontiers – Ai confini dell’inferno

La periferia di Parigi è stata messa a ferro e fuoco e un gruppo di ragazzi mette a segno una rapina, 125000 euro, che potrebbero consentire a Yasmine (Karina Testa), di abortire in Olanda. Mentre la ragazza porta il fratello in ospedale, insieme ad Alex (Aurélien WIik) il suo ex fidanzato, gli altri due, Farid (Chems Dahmani) e Tom (David Saracino) partono in direzione del confine con il Lussemburgo, per fuggire dalla polizia e dalle sommosse cittadine.

Lungo il tragitto, Farid e Tom decidono di pernottare in un ostello sperduto nelle campagne francesi. Mai scelta è più sbagliata: il casolare è abitato da una famiglia bizzarra, capitanata da un nazista, che non vede l’ora di avere ospiti per poterli torturare e conservare i loro corpi come si conservano i maiali, come cibo per il lungo inverno.

Anche Jasmine e Farid, sopraggiunti poco dopo, verranno accolti con calore dagli abitanti della casa, ma la ragazza, a differenza dei malcapitati compagni di sventura, portando in grembo un bambino, viene vista come procreatrice della razza pura.

Frontiers – Ai confini dell’inferno è un horror splatter diretto dal regista di Hitman, Xavier Gens, che basa tutta la sua forza sui metodi di tortura delle persone, piuttosto che sulla trama, alquanto fiacca e confusionaria.

Per chi adora vedere mutilazioni, sangue a fiumi, personaggi deformi comparire nella penombra, budella squarciate, teste mozzate, uomini appesi come insaccati in macelleria, il film è certamente soddisfacente, ma se in questa pellicola cercate altro, come una storia, con un senso logico, è meglio che nemmeno affrontiate le quasi due ore del film.

L’inizio è interessante, sia a livello contenutistico (guerriglia urbana), sia a livello stilistico, con riprese veloci, immagini spezzate e alternate vorticosamente e una fotografia degna di nota (che fortunatamente rimarrà tale per tutto il film) , poi, appena i protagonisti varcano la porta dell’ostello, il racconto perde efficacia e credibilità (possibile che una donna in dolce attesa, dopo continui traumi fisici e psicologici non perda il bambino?) diventando un catalogo di possibili raccapriccianti rappresentazioni della follia umana.

La fine non arriva mai e, seppur la protagonista abbia la possibilità di fuggire tranquillamente almeno in tre circostanze, si ha quasi la sensazione, che non si voglia giungere alla parola fine. Così, nell’ultima mezz’ora, i cattivi diventano prima particolarmente stupidi (facendosi eliminare uno ad uno da una ragazza incinta, in modo poco credibile), poi immortali (sopravvivono a esplosioni come se nulla fosse), infine ridicoli e grotteschi.

Concludendo: Xavier Gens ha esagerato e, ammiccando fin troppo agli horror del genere Non aprite quella porta, ha messo in piedi, più che un film, un circo. Se vi basta, accomodatevi pure in sala.