Recensione: Notte da cani


L’amore, la vita, la morte. Ruota attorno ad essi il nuovo film di Werner Schroeter in concorso alla Biennale di Venezia; Nuit de chien (notte da cani), tratto dall’omonimo romanzo del 1943 dello scrittore uruguaiano di Juan Carlos Onetti.

Con Rainer Werner Fassbinder, Schroeter è uno degli artefici del Nuovo Cinema tedesco degli anni ’70 e ’80: il suo capolavoro è Palermo or Wolfsburg, protagonista un immigrato siciliano in Germania, premiato con l’Orso d’Oro alla Berlinale nel 1980.

E’ notte. Il quarantenne Ossorio (Pascal Greggory), arriva esausto alla stazione ferroviaria di Santa Maria con una moltitudine di profughi e soldati vinti. Di ritorno alla città che un tempo conosceva per incontrare la donna amata, scopre che tutto è cambiato: una milizia armata terrorizza il paese, fazioni rivali si scontrano. Nella notte decisiva ognuno cerca di salvare la propria vita, senza speranza.

Un film, ambientato in una città immaginaria in stato di assedio, che parla di guerra e di potere e che il regista tedesco ha girato in francese, poiché a suo detto, è una lingua sensuale ed intellettuale. Le riprese sono avvenute nella città di Porto, perfetta secondo il regista per ricreare un miscuglio ad hoc tra antichità e modernità”.

Pellicola difficile e scostante, i personaggi si muovono come tristi marionette sullo sfondo di una notte fatale dove ogni cosa sembra andare incontro alla propria morte. Nuit de chien polverizza anche i più semplici schemi del racconto cinematografico inabissandosi in un presuntuoso nulla.

Non a caso Il film è stato accolto con freddezza, tra poltrone abbandonate anticipatamente e qualche fischio unito ai titoli di coda. In una sceneggiatura che manca di forza e di spessore ma, soprattutto, di idee, l’unica e vera rivelazione di tutto il contesto è la musica, da Wagner a Bach, passando per Maria Callas.