Recensione: Il passato è una terra straniera

Studente modello, figlio di intellettuali borghesi, Giorgio conduce la vita normale e ordinaria di un ragazzo di ventidue anni. Una vita senza crepe, almeno in apparenza, fino a quando una sera incontra Francesco. Bello ed elegante, Francesco esercita su uomini e donne un fascino misterioso e oscuro. Per vivere gioca a carte, sa vincere, ma più che fortunato è un abile baro e sembra avere in mano le chiavi per il successo.

I tavoli da gioco si spostano da ville sontuose a bettole senza nome e i suoi avversari possono essere ricchi industriali o miserie umane: il risultato non cambia. In una Bari dai contorni sfocati, in cui ambienti segreti e torbidi fanno da sfondo a una quotidianità tranquilla e rassicurante, Giorgio diventa amico di Francesco e complice.

Passando da partite truccate a viaggi reali e immaginari, attraversando letti senza amore con donne di lusso annoiate, imparando a muoversi nei luoghi dove la buona e la cattiva società sembrano confondersi, Giorgio vede l’immagine di se stesso sgretolarsi per lasciare posto a qualcosa di sconosciuto. Qualcosa che fa paura, ma al tempo stesso lo attrae.

E’ inarrestabile la discesa agli inferi che lo trasporta in un luogo dell’anima fino a quel momento ignoto. L’amicizia di Francesco e Giorgio procede verso un finale sorprendente. Un viaggio doloroso e inquietante nei territori della mente, in quella età fragile e misteriosa che separa la giovinezza dall’età adulta. Quel tempo in cui le cose che accadono ci cambiano per sempre.

Il passato è una terra straniera, non porta sul grande schermo nessuna storia speciale. La pellicola diretta da Stefano Vicari di cui ricordiamo Velocità massima e L’orizzonte degli eventi, racconta la parabola agli inferi di un giovane bravo ragazzo, e lo fa in maniera credibile e asciutta, debuttando venerdì in 170 sale italiane, ma ancor prima in concorso, al Festival internazionale del film di Roma.

Tratto dal bellissimo e molto coinvolgente romanzo del magistrato barese Gianrico Carofiglio, Il passato è una terra straniera (Premio Bancarella nel 2005), opera ispirata a sua volta al Demian, scritto nel 1916 ed edito nel 1919, di Herman Hesse, durissima analisi della dicotomia inconciliabile tra il bene ed il male, tra la luce ed il buio che albergano in ognuno di noi, come antitetici demoni che combattono per il predominio sulla nostra anima, è la prova evidente di quanto un bravo scrittore abbia bisogno di un bravo regista per imprimere sulla pellicola le proprie parole.

Il Film però può essere apprezzato solo se del tutto fedele al libro in questione, che affronta le situazioni e i rapporti intercorrenti tra i vari personaggi in maniera sicuramente molto più esauriente, e anche molto più comunicativa.

Nel caso della pellicola, invece, al di là del fatto che viene eliminato completamente uno dei due piani narrativi del romanzo, quello riguardante le indagini su una serie di stupri, rendendo un tantino confusionaria soprattutto la seconda parte della narrazione, possiamo ravvisare una scarsa profondità dei personaggi di contorno che compaiono e scompaiono come delle figure indistinte senza lo giusto spessore che in realtà avrebbero dovuto avere.

Il passato è una terra straniera, infatti, è una storia di uomini che sbagliano e pagano. A dare efficacia al tutto, c’è la solita prestazione magistrale di Elio Germano, nei panni di Giorgio. Al suo fianco Michele Riondino. Nel cast anche Chiara Caselli, Valentina Lodovini, Marco Baliani, Daniela Poggi, Maria Jurado, Romina Carrisi, in un film il cui livello qualitativo, per lo standard italiano, è decisamente elevato.