L’estate di Giacomo, recensione

Durante un’estate nella campagna friulana, Giacomo (Giacomo Zurlan), diciotto anni, rimasto sordo da piccolo e Stefania (Stefania Comodin), una sua amica d’infanzia, attraversano una zona boscosa piuttosto impervia per raggiungere un fiume, dove troveranno refrigerio in un bagno e consumeranno un frugale pasto. E’ l’inizio di un’estate da ricordare, un apprendistato alla vita, alla sessualità, ai sentimenti e all’amore vissuti con la spensieratezza di una fuggevole adolescenza.

Il regista Alessandro Comodin proviene dalla realtà dei documentari, dalla schiettezza di immagini rubate, volti genuini, voglia di raccontare il mondo così come lo scopriamo tutti i giorni fuori dalla porta di casa, in ufficio, a scuola e in questo caso lo fa con un cicerone molto speciale, che ci mostra un universo di sensazioni percepito e filtrato attraverso chi vive la disabilità quotidianamente e non c’era altro modo di narrarlo se non con immagini che miscelassero la tangibilità di un documentario, la genuinità di una ripresa amatoriale rubata e la poesia del cinema nella sua forma più pura e incondizionata.

L’estate di Giacomo pesca dai ricordi d’infanzia del regista, un debutto su grande schermo coraggioso, intimo e fugace come l’estate che vivono i suoi tre protagonisti, Giacomo è senza dubbio il più naturale di fronte alla macchina da presa, del resto mai invasiva e all’occorenza sempre un passo indietro, il regista in meno di un’ora e mezza riesce a regalarci anche due splendide sequenze dal sapore squisitamente cinematografico, la corsa in bici al tramonto con tanto di colonna sonora e l’incursione di Giacomo e Stefania ad una festa di paese con giostre e orchestra danzante.

Comodin non edulcora nulla, gira tutto in presa diretta, la sua macchina da presa scivola lungo il Tagliamento le cui sponde lo hanno visto crescere, lasciando percepire il suo amore per la selvaggia concretezza della natura e l’intangibilità dell’animo umano gioioso e sfuggente al tempo stesso, sempre in conflitto, capace di picchi emotivi immensi e di cadute infinite.

Al fianco di Giacomo Zurlan ci sono Stefania Comodin e Barbara Colombo, quest’ultime avvertono di più la presenza della macchina da presa, questo non vuol dire che siano meno genuine, ma solo che il loro percepire uno sguardo altro, ne amplifica una timidezza che ben si contrappone all’esuberanza di un protagonista capace di vere esplosioni di vitalità.

Potremmo star qui a citare registi e movimenti francesi, a disquisire su estetica da Cinéma vérité e Nouvelle Vague, ma preferiamo lasciare che l’intonsa naturalezza di questa opera prima resti tale, senza affibiargli etichette ingombranti che servirebbero solo a sciorinare in questo caso superflue nozioni cinefile, ma invece preferiamo sottolineare il fatto che Comodin ha avuto il coraggio di proporci, in un panorama distributivo come quello italiano, un cinema sorprendentemente schietto e vitale.

Nelle sale dal 20 luglio 2012

Note di produzione: Il film co-prodotto da Italia, Francia e Belgio ha ricevuto svariati riconoscimenti tra questi un Pardo d’oro Cineasti del Presente al Locarno Film Festival 2011 e un Gran premio della giuria e uno per il miglior documentario al Belfort International Film Festival 2011 in Francia.

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