A Christmas Carol, recensione

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Il taccagno dal cuore gelido Ebenezer Scrooge (Jim Carrey) a causa di un passato che ne ha infranto sogni e speranze, ha fatto del dio denaro l’unico totem da idolatrare e del prossimo o figura da sfruttare e da cui  trarre il massimo del guadagno, o pericoloso contenitore saturo di emozioni e sentimenti da tenere ben alla larga.

Dopo la morte del suo socio, a Scrooge la notte della vigilia di Natale verrà data un’ultima possibilità di redimersi, e sarà lo stesso ex-socio ormai anima dannata, che da etereo messaggero gli comunicherà la prossima visita di tre fantasmi che gli mostreranno a turno il suo passato, per ricordargli chi era, il suo presente per ribadirgli chi è divenuto, ed il futuro per ammonirlo su cosa diventerà se non cambierà completamente il suo stile di vita.

Chi scrive ama molto il romanzo di Dickens, non tanto il libro in se stesso, che resta un vero classico, quanto per le atmosfere e suggestioni che fanno del Natale e del suo significaro aggregante, materia da emozioni.

Questo mi ha permesso di apprezzare ogni singola trasposizione che abbia in varie prospettive e metafore, riportato quel sentimento familiare e quella festosa suggestione, che alla fine del romanzo pervade ogni pagina, scongelando il gelido cuore del Grinch/Scrooge accompagnandoci in una fredda mattina di Natale in cerca di una redenzione che sa di famiglia e amore per il prossimo.

Quindi che sia il musical con la bizzarra accoppiata Muppets/Michael Caine, lo Scrooge formato Paperone o la comedy dark e un pò kitsch con Bill Murray, non importa se le pagine di Dickens siano state stravolte, cambiate o rivisitate, se il cuore del racconto è stato rispettato e l’atmosfera ricreata, ben venga qualsiasi adattamento per quanto ardito possa sembrare.

Così Zemeckis dopo il molteplice Tom Hanks formato natalizio del cupo Polar Express e il pedante Beowulf/Ray Winstone, ormai convinto che il futuro sia il 3D e il perfomance capture (evoluzione del classico motion capture), recluta Jim Carrey e lo inserisce nell’involucro hi-tech di uno Scrooge di ultima generazione, per una fantasmagorica cavalcata digitale che assomiglia molto da vicino alle montagne russe di un tetro luna park.

In A Christmas Carol si predilige la parte dark della novella di Dickens, questo fa del film un prodotto poco adatto agli under 10, e Carrey era davvero l’unico in grado di far trasparire un minimo di espressività da queste evolute maschere digitali, per carità esteticamente il film è un gioiello, ma a parte Carrey, i personaggi di contorno mancano di empatia, e non hanno la minima possibilità di far trasparire alcuna emozione.

Che dire ci sono tutti gli eccessi tipici delle produzioni di Zemeckis, buona parte  del film lo si passa in acrobatiche incursioni su una sorta di ottovolante impazzito tutto atto a farci godere appieno del 3D, ma dimenticandosi completamente della storia, qui non c’è nessuna rilettura, tutto il repertorio dickensiano è frettolosamente compresso in una sorta di Bignami virtuale.

La caratterizzazione dei tre fantasmi tutti interpretati, pardon performati da Carrey, a volte risultano davvero irritanti, il passato di Scrooge che avrebbe dovuto scaldargli l’anima e risvegliare il bimbo sopito, manca del cuore necessario a scatenare un minimo di ritorno emotivo, lasciamo perdere poi il pedantissimo e ilare secondo fantasma, che oltre ad essere l’unico a trasmettere il minimo sindacale di atmosfera natalizia, si esibisce nell’ennesima rincorsa tra palazzi, incursioni aeree e vertiginose cadute, come il terzo fantasma/dissenatore che viene congedato a tempo di record.

Il film di Zemeckis risulta alla lunga troppo cupo e il regista non ha le capacità di un Tim Burton per maneggiare la materia, tanto impegnato a stupire il pubblico con mirabolanti effetti speciali che si dimentica il Natale, già perche nel film qualsiasi riferimento visivo alla festività è latitante, così le lacrime nascoste a forza dall’avido vegliardo scivolano sul suo volto levigato dai pixel senza lasciar traccia.

E così tra un effetto speciale e l’altro, il piccolo Tim si trasforma  in una macchietta da spot elettorale, il Natale latita, e Scrooge anche nel finale sembra stia recitando una redenzione, che pare figlia più della paura di morire, che di un vero e ritrovato spirito natalizio, insomma tanta gioia per gli occhi e davvero troppo poco cuore.