Il capitale umano, recensione

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Dolore, gioia, angoscia. Pioggia, sereno. Parole che risuonano spesso in mente quando ci si accomoda per guardare un film di Paolo Virzì, tornato sul grande schermo con “Il capitale umano”. Un’altra pellicola, un altro ensemble di emozioni, cucite addosso ai personaggi come solo il regista toscano sa fare.
Realismo e lacrime
“Il capitale umano” rappresenta in pieno l’archetipo cinematografico di Virzì. Storie di tutti i giorni messe in evidenza, sul confine tra realismo e immaginazione con una buona dose di scene commoventi e facce da ricordare.
La storia, radicata nel genere thriller (talvolta in grado di sfociare nell’horror), riguarda numerose famiglie italiane e il loro status quo. Si ramifica nei volti e nelle storie di personaggi che offrono tutto il loro lato umano. Emozionano, coinvolgono lo spettatore al punto di rappresentarlo.

Il giudizio del CineManiaco

Virzì, con “il capitale umano”, propone una prova matura. Forse, la sua prova più matura. Il risultato premia le intenzioni e il coraggio di cambiare genere ‘in corsa’, dipingendo con estrema eleganza e con toni noir un coabito di personaggi che rappresentano al meglio la penisola.
“Il capitale umano”, rispetto alle altre opere del regista, presenta poca poesia e molta potenza visiva. Innovativo, moderno, emozionante e coinvolgente.
Voto: 7

Scheda del film

USCITA CINEMA: 09/01/2014
GENERE: Drammatico, Thriller
REGIA: Paolo Virzì
SCENEGGIATURA: Paolo Virzì, Francesco Bruni, Francesco Piccolo
ATTORI: Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, Vincent Nemeth, Luigi Lo Cascio, Gigio Alberti, Bebo Storti, Pia Engleberth, Giovanni Anzaldo, Guglielmo Pinelli, Matilde Gioli

Trailer

Si può fare, recensione

Milano 1983, il sindacalista Nello (Claudio Bisio) ha idee decisamente troppo rivoluzionarie e per questo il sindacato decide di allontanarlo in una sorta di esilio punitivo spedendolo a dirigere una delle cooperative denominate 180, che dovrebbero, almeno sulla carta coinvolgere in attività lavorative ed assistenziali quella enorme schiera di malati di mente rimasti senza punti di riferimento all’indomani dell’applicazione della legge Basaglia.

Quello a cui  il combattivo sindacalista si troverà di fronte sarà una tipica forma di indolente burocrazia cronicizzata che ha trasformato la cooperativa in un luogo ameno i cui membri non supportati e opportunamente stimolati sono abbandonati a loro stessi e affidati alla sola terapia farmacologica.

Visto il pessimo andazzo, ci penserà Nello a dare ai suoi specialissimi dipendenti l’input giusto per cercare di uscire dalla sonnolenta realtà in cui hanno vissuto fino a quel momento, per cercare non senza immani difficoltà di entrare nel mondo del lavoro e scoprire le potenzialità nascoste in ognuno di loro.

Gabriele Salvatores: cineasta da romanzo

Prima di dare fondo alle notizie, e sono molte, raccolte per questa monografia, spendiamo due parole per uno dei più originali e spiazzanti registi italiani, Gabriele Salvatores, che con il suo Mediterraneo, ha rappresentato l’Italia nel mondo accaparrandosi un Oscar, ma non si è mai adagiato sul filone che lo ha così tanto gratificato, non ha soffiato su un fuoco per goderne fino all’ultimo il calore creativo, ma ha rischiato, esplorato, sperimentato generi, concetti, suggestioni, a volte con risultati discutibili, ma mai risultando banale, mai propinandoci una minestra riscaldata e in tempi pre-Gomorra, artisticamente aridi, ogni suo film innescava nuove domande, esplorava nuove strade, sempre con un’impronta registica immediatamente riconoscibile.

Salvatores nasce a Napoli il 30 Luglio del 1950, ma è Milano dove si trasferisce giovanissimo che lo forgia artisticamente, diploma al liceo Beccaria e poi il teatro, palestra di  anima e concetto, e Salvatores prima si iscrive all’Accademia del Piccolo Teatro, poi cresciuto e artisticamente maturo fonda il Teatro dell’Elfo è il 1972, dove saggia le sue capacità, dirigendo diversi spettacoli, che per contenuti e concezione visiva venivano allora definiti d’avanguardia, un’esperienza che porterà avanti fino al 1989.

Con Giulio Manfredonia, Si può fare

Giulio Manfredonia, romano, nipote di Luigi Comencini, è il regista del film Si può fare, interpretato da Claudio Bisio, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston, Giorgio Colangeli e Bebo Storti. La pellicola sarà presentata in anteprima nazionale il 30 ottobre al Festival internazionale del film di Roma.

A Milano nei frizzanti anni ottanta, Nello è un sindacalista, ha forti valori etici, ma è appassionato di modernità, terziario, mercato. Troppo avanti per quegli anni, viene allontanato dal sindacato e mandato in una cooperativa di ex malati mentali, appena dimessi dai manicomi per la legge Basaglia.