Kung Fu Panda 3, attesa alle stelle per il ritorno di Po

Kung Fu Panda 3 sta per fare il suo debutto nelle sale cinematografiche. E sarà un debutto in grande stile, studiato nei minimi dettagli sotto tutti gli aspetti. Con un respiro profondo prima del balzo, DreamWorks Animation ha messo su una squadra multinazionale di creativi tra i quali spiccano i due registi: Jennifer Yuh e Alessandro Carloni.

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Lei è stata la prima donna coreana ad aver diretto un kolossal animato (Kung Fu Panda 2) per una grande major, lui è il primo italiano chiamato a un compito di altrettanto prestigio.  Oggi, il franchise di Po è al suo terzo capitolo.

Perché Kung Fu Panda 3 è così importante? In primo luogo, perché per DreamWorks Animation rappresenta l’inaugurazione di un nuovo corso pur nel segno della tradizione. Non è proprio nello spirito dei primi due film portare una ventata di freschezza nella millenaria e paludata società cinese? E non è proprio il goffo panda Po ad aver sfidato tutto e tutti pur di essere una celebrità del Kung Fu? In secondo luogo, perché la Cina non è l’America. In Cina non puoi essere con facilità ciò che desideri e Pechino non è certo la disneyana Zootropolis: la tradizione, il lignaggio e l’inevitabile peso del proprio cognome sono ancora pietre miliari molto più radicate che nella terra delle opportunità a stelle e strisce.

Lo spirito con il quale gli spettatori cinesi premiano i film occidentali è ancora in parte un atteggiamento di genuina curiosità

Tuttavia, lo spirito con il quale gli spettatori cinesi premiano i film occidentali è ancora in parte un atteggiamento di genuina curiosità verso prodotti intrisi di valori lontani dai propri. È anche questo, difatti, che potrebbe garantire al franchise il suo terzo successo. Kung Fu Panda 3, in parte made in China, è dunque la sfida di creare un prodotto perfettamente in equilibrio, per non dire in bilico, tra l’omaggio al Paese del dragone e la disperata necessità di battere cassa su scala globale. In terzo luogo, la compagnia di Katzenberg ha l’occasione di mettere in moto un’inversione di tendenza: gli anni dei suoi tonfi al botteghino e dei risultati al di sotto delle aspettative (da Le Cinque Leggende al disastroso I Pinguini di Madagascar) hanno coinciso con i trionfi al box office dei Walt Disney Animation Studios (Frozen e Big Hero 6) e di Pixar (Ribelle – The Brave, Monsters University e Inside out) che hanno fatto incetta di premi, biglietti e bigliettoni. Non è stato sufficiente il buon andamento del franchise di Dragon Trainer per ripianare le perdite e fare fronte agli esorbitanti  costi di gestione, e la nomination all’Oscar per la seconda avventura di Hiccup e Sdentato ha avuto la peggio contro l’eroico candore di Baymax. Se è ora di tornare a competere con i big, la migliore opzione è quella di combattere con un franchise di punta né troppo vecchio come quello di Shrek né troppo giovane come Dragon Trainer.