La giusta distanza, recensione

La tranquillità di un paesino del polesine viene turbata dall’arrivo in paese di Mara (Valentina Lodovini) una bella e giovane maestra elementare in fuga dalla città e da qualche delusione amorosa di troppo, l’arrivo della ragazza attirerà l’attenzione di Giovanni (Giovanni Capovilla) diciottenne aspirante giornalista infatuato di una giovane promessa dell’atletica e del meccanico Hassan (Ahmed Hefiane), un tunisino introverso e taciturno che comincerà a spiare nottetempo la nuova arrivata sino a che verrà scoperto.

A scoprirlo non sarà solo Giovanni, ma anche la stessa Mara che all’inizio rimarrà piuttosto infastidita dallo strano atteggiamento dell’uomo, poi lentamente ne accetterà la corte comprendendone l’estrema timidezza, nel frattempo nella zona continua una inquietante e macabra sequela di uccisioni che riguardano alcuni cani e che Giovanni racconta nei suoi articoli.

Il regista Carlo Mazzacurati dopo il poco convincente L’amore ritrovato torna alle origini rispolverando le suggestioni della provincia veneta che lo ha visto esordiente nel lontano 1987 con Notte italiana e sembra ritrovare una leggerezza e una poesia che sembravano ormani irrimediabilmente appannate da una ricerca stilistica puntata altrove.

Con La giusta distanza ritroviamo il Mazzacurati fine narratore che utilizza bucolici scorci del Polesine e volti genuini per ritrarre un luogo sospeso nel tempo, dando alla trama una gradevole connotazione noir, mai invasiva, ma sempre pienamente percettibile e che finirà per incrinare lentamente e inesorabilmente la mitezza dei protagonisti e la quiete dei paesaggi.

Bravi e soprattutto spontanei i tre attori protagonisti, i due all’epoca poco più che esordienti Ahmed Hefiane e il giovane Giovanni Capovilla e l’intensa Valentina Lodovini che sfoggia una performance ricca di sfumature malinconiche che gli varrà una nomination ai David di Donatello.

A supportare quella che si rivela una delle migliori prove di un Mazzacurati ritrovato, un terzetto di comprimari assolutamente indispensabile, il giornalista Fabrizio Bentivoglio, l’imprenditore e piovra del Polesine Giuseppe Battiston e il comico made in Zelig Antonino Balasso.

Note di produzione: il film ricevette all’epoca sette nomination ai David di Donatello, ma ebbe la sfortuna di scontrarsi con il gioiello di Andrea Molaioli La ragazza del lago che stilisticamente condivide molto con il film di Mazzacurati, vedi la narrazione rarefatta, suggestive location e una venatura noir che nel caso di Molaioli sfocia nel cinema di genere.