Chatroom, recensione in anteprima

Cinque ragazzi si incontrano e interagiscono in una chatroom, tutti complessari, insicuri e con problemi in famiglia riversano le loro frustrazioni on line guidati da William (Aaron Johnson) personalità borderline, narcisista e distruttiva, abile nell’arte dello scoprire i punti deboli dei propri interlocutori e manipolarne le azioni conducendoli verso comportamenti che avranno conseguenze più o meno deleterie sulle loro vite reali.

William è figlio di una sorta di emulo in celluloide della britannica J.K. Rowlings complessato e geloso del fratello maggiore Ripley a cui la madre ha dato il nome del personaggio letterario da  lei creato e conosciuto in tutto il mondo, Eva (Imogen Poots) è una ragazza che aspira a diventare una modella ma non ha i numeri pur essendo molto graziosa e questo le crea un forte complesso d’inferiorità nei confronti delle sue amiche alcune delle quali già in carriera, Jim (Matthew Beard) è schiavo degli antidepressivi a causa dell’abbandono del padre sparito nel nulla, Emily (Hannah Murray) è una ragazza tanto perfettina quanto disperata per il matrimoino dei genitori che sta per culminare in un divorzio, infine il diciassettenne Mo (Daniel Kaluuya) terrorizzato per una forte attrazione che prova per la sorella undicenne del suo miglior amico.

William prima sfrutterà il suo mellifluo carisma virtuale per conquistare i suoi compagni di chat per poi concentrarsi sul piu fragile di tutti, l’introverso Jim che diventerà per lui oggetto di una vera e propria ossessione che porterà William a spingere il ragazzo verso una sorta di suicidio assistito.

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The ring & Co.: storie di fantasmi orientali-Parte prima

Il cinema orientale ha nutrito negli ultimi anni la nostra fame di brividi, che il cinema americano con le sue ultime produzioni non riusciva a soddisfare pienamente. Tutta la sequela di nuovi autori  orientali, in parte americanizzati quasi subito e riletti in decine di remake hanno fatto dell’horror orientale un vero e proprio caso cinematografico.

Prima di tutto stabiliamo alcuni punti fermi, l’horror orientale lavora sull’inconscio e sulle paure ataviche che ci portiamo dietro fin dall’infanzia, che lo stile usato sia coreano, cinese, giapponese o thailandese, comunque si limita il gore e si spinge l’acceleratore su una serie di input sensoriali  e suggestioni che il regista sobilla negli spettatori utilizzando non l’effettaccio splatter classico od il sobbalzo dalla sedia tipico dei prodotti occidentali, ma inquietanti figure femminili dalle posture deformanti, effetti sonori ricercatissimi o ansiogeni silenzi, insomma inquietudini latenti che universalmente legano l’inconscio collettivo dell’uomo.

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L’esorcista è il miglior film horror di tutti i tempi

Con halloween è arrivata l’immancabile classifica degli horror più belli di tutti i tempi e a trionfare, manco a dirlo è stato quello di William Friedkin, L’esorcista, film del 1973, che racconta gli inquietanti momenti di possessione di Regan (Linda Blair), di cui anche i muri, se potessero parlare, racconterebbero la storia.

La motivazione, che l’ha visto prevalere su capolavori del calibro di Shining (secondo)di Stanley Kubrick (tratto dal romanzo di Stephen King) e Alien (terzo) di Ridley Scott, è la sua capacità di infrangere numerosi tabù (il film è blasfemo, disinibito e sono presenti parolacce), unita all’alla numerosa presenza di particolari horror, mescolati ad una storia religiosa.

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