Silent House, recensione in anteprima

Sarah (Elizabeth Olsen) è una giovane ragazza che con suo padre (Adam Trese) e suo zio (Eric Sheffer Stevens) sta trascorrendo qualche giorno in una casa di campagna piuttosto fuori mano, con l’intenzione di svuotarla e sistemarla al fine di venderla. Lo zio di Sarah durante il lavoro si prenderà una pausa e si allontanerà per qualche ora per andare in città.

Poco dopo, mentre si trova da sola nel salone, Sarah sente strani rumori provenire dal piano di sopra e avvisa subito il padre, che per tranquilizzarla fa un controllo accurato di tutte le stanze. Non trovando nulla i due si separano e Sarah torna a riempire sacchi e scatoloni, fino a che un tonfo sordo la mette di nuovo in allarme e la metterà di fronte alla certezza che in casa c’è un intruso.

In preda al terrore Sarah cercherà una via d’uscita scoprendo che tutte le porte che danno sull’esterno sono state chiuse con dei lucchetti. In trappola e con il padre ferito e privo di conoscenza al piano di sopra, Sarah dovrà lottare con un panico crescente e una presenza misteriosa che intraprenderà con lei un gioco perverso, costringendola ad usare ogni meandro della casa come nascondiglio.

Silent House è un thriller-horror indipendente diretto a quattro mani da Chris Kentis e Laura Lau rispettivamente regista e direttore della fotografia dell’ansiogeno Open Water. Kentis e Lau in questo caso hanno dell’ottimo materiale di partenza, il film è un remake del notevole La casa muda aka The Silent House, un thriller-horror urguaiano che in questo rifacimento viene praticamente riproposto in quasi ogni sua singola parte, compresa la ripresa in un unico lunghissimo piano sequenza che contraddistingueva l’originale.

Diciamo subito che questa operazione lascia il tempo che trova, tutta l’atmosfera malsana che si respirava nell’originale va irrimediabilmente perduta, il film diventa una fotocopia ammorbidita e piuttosto opaca dell’originale con alcune sequenze chiave, vedi quella della stanza buia illuminata con il flash della macchina fotografica e il finale, che vengono riproposte o in maniera meccanica come nel primo caso o incomprensibilmente modificate come nel caso del finale, che nell’originale era assolutamente perfetto.

Per quanto riguarda gli elementi positivi dell’operazione c’è senza dubbio l’efficace effetto ansiogeno della messinscena che però non scaturisce da creatività visiva o atmosfera, ma bensì dalla tecnica di ripresa usata, tecnica che ibrida con intelligenza alcune peculiarità del formato mockumentary con la dinamicità della ripresa in tempo reale e alcuni stilemi imprescindibilmente cinematografici come l’utilizzo di una colonna sonora. In pratica si sfruttano macchina a spalla e inquadrature ravvicinatissime che in una stanza buia o sotto ad un letto funzionano a prescindere dall’abilità del regista.

L’altro elemento positivo e la perfomance della bravissima Elizabeth Olsen che si sottopone ad un vero e proprio tour de force emotivo che ne mostra sia l’indubbio talento, che una capacità innata di gestire registri drammatici oltremodo rischiosi che vanno ben oltre l’enfatico.

Il nostro consiglio è senza dubbio quello di ripescare l’originale che purtroppo come capita troppo spesso con i piccoli film di genere si è ritrovato snobbato da una distribuzione come di consueto distratta (la medesima sorte di The Children, Wake Wood e Kill List), mentre se avete intenzione di visionare questo sbiadito remake crediamo che una fruizione casalinga in un comodo formato DVD sia la scelta più consona.

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Note di produzione: i registi hanno dichiarato di essersi ispirati a due film in particolare, Nodo alla gola di Alfred Hitchcock e Russian Ark di Alexander Sokurov; La Olsen ha dichiarato che il film in realtà non è girato in tempo reale, ma ha fruito di 12 minuti di tagli, montati in seguito in modo da far sembrare il girato un’unica ripresa; la pellicola ha fruito di un budget di 2 milioni di dollari.