Il discorso del re, recensione

Il principe Albert (Colin Firth) Duca di York e figlio di re Giorgio V, dall’età di quattro anni è afflitto da una grave forma di balbuzie che gli impedisce di svolgere molte delle sue funzioni pubbliche, come la lettura di discorsi, interventi alla radio o pubblici dibattiti, insomma tutto ciò che viene richiesto a chi ricopre una così importante carica istituzionale.

Per il principe Albert, chiamato confidenzialmente Bertie, il problema assumerà proporzioni monumentali quando alla morte del padre il fratello Edward (Guy Pearce) legittimo successore al trono dopo essere diventato re preferirà abdicare piuttosto che rinunciare al suo amore per una donna già sposata, un vero scandalo per la carica che dovrebbe ricoprire e visto che la seconda guerra mondiale incombe, al timone del paese ci vuole un monarca che unisca e non divida e soprattutto non attiri su di se le ire della chiesa, e l’unica alternativa ad Edwatd è il sempre più terrorizzato Albert.

Sarà Elizabeth (Helena Bonham Carter) l’amorevole consorte di Albert, dopo vari tentativi di cura intrapresi dal marito con medici dalle discutibili metodologie, a contattare l’australiano Lionel Logue (Geoffrey Rush) logopedista, maestro di dizione e appassionato di teatro, che mostrerà ad Albert che la natura della sua balbuzie è psicosomatica  e intraprendendo con lui una lunga terapia che porterà alla luce un’infanzia travagliata per il futuro re d’Inghilterra che dovrà mostrare al suo popolo, ma soprattutto a se stesso di essere all’altezza.

12 candidature ai prossimi Oscar 2011 per questa solida biografia storica a cui il regista Tom Hooper, reduce dalla biopic sportiva Il maledetto United, regala una  formalità squisitamente british e gradevolmente autoironica, capace di toccanti contrappunti malinconici mai compiaciuti e supportata da un cast in gran forma, su tutti uno Geoffrey Rush paterno e risoluto, una Helena Bonham Carter sorprendentemente misurata e un Colin Firth assolutamente perfetto e senza dubbio da Oscar, che riesce a ritrarre senza manierismi un uomo sovverchiato da un ruolo che sente non appartenergli solo per un indotto senso di inadeguatezza, ma che in realtà abbraccerà in toto nel momento del bisogno, superando lo scoglio della sua balbuzie e unendo l’inghilterra tutta contro Hitler e la Germania nazista.

Il discorso del re è un perfetto mix di eleganza, intensità e stile, non privo di fisiologiche pause di riflessione non tutte volute e cercate, ma che danno comunque il senso di una pellicola dalla narrazione compatta, dal cast di gran classe e dall’impronta registica per nulla banale, che di quando in quando con intriganti incursioni devia dalla formalità richiesta dal formato biostorico regalando al film un’impronta visiva ricca di personalità.