6 giorni sulla Terra, recensione

Il dr. Piso (Massimo Poggio), biochimico irriso dalla comunità scientifica per le sue teorie su una cospirazione globale che coinvolgerebbe alieni e governi, lo scienziato afferma che attraverso rapimenti mirati si starebbe saccheggiando l’essere umano di un’energia potentissima che tutti conosciamo come anima, viene prima allontanato dall’università dove insegna per poi trovarsi per le mani una bella fanciulla che rivela, nascoste nel suo subconscio, una serie di memorie aliene impiantate con lo scopo di celare un’entità ben più potente, entità che Piso risveglierà con una seduta di ipnosi.

Ci vorrà pochissimo tempo affinchè lo scienziato si accorga di aver aperto il vaso di Pandora anelato da milioni di ufologi sparsi per il globo, che metterà in luce una realtà sconcertante che va ben oltre l’umana immaginazione, capace di cambiare radicalmente tutto ciò che si conosce sul fenomeno dei rapimenti alieni.

Bisogna ammettere che dopo i posseduti con innesti di gufi alieni del mockumentay-bufala Il quarto tipo, avevamo riposto qualche speranza in questa produzione made in Italy realizzata dal regista Varo Venturi, anche se questa frase di lancio nel materiale stampa ci aveva lasciato un tantinello perplessi:

Basato su rivoluzionarie teorie scientifiche che abbattono i confini dei nostri credo, il film lancia la denominazione per una nuova onda cinematografica: la Realscienza…

Capirete che già il nostro iniziale ottimismo cominciava a latitare, per quanto ambizioso e potenzialmente rivelatorio possa essere un film, quando si tirano un ballo realtà scientifiche e verità tutt’altro che empiriche, si rischia di diventare pretenziosi, anche se pare che allo script abbia collaborato, in qualità di consulente scientifico, uno dei massimi esperti italiani di abductions, il professor Corrado Malanga.

6 giorni sulla terra purtroppo si dimostra piuttosto debole e a tratti confusionario, se il regista pur palesando troppi vezzi da consumato video-maker confeziona un film tecnicamente valido, Venturi è piuttosto dinamico nel montaggio e nelle inquadrature e sfrutta una fotografia molto curata, purtroppo quando si vanno a toccare elementi decisivi nel dare credibilità alla messinscena come recitazione e sceneggiatura, la prima risulta fastidiosamente impostata, enfatica e di stampo televisivo, mentre lo script è ridondante e con il suo voler esporre un proprio credo si presenta più come un atto di fede, che un vero e proprio sguardo scientifico su una tematica indubbiamente fascinosa.

Così accade che dopo pochi minuti di visione tutta l’impalcatura realscientifica a sostegno della pellicola crolli, perdendosi in un frullatone misticheggiante in cui è assai facile per lo spettatore meno paziente e in questo caso non credente perdere sia la trebisonda, che la pazienza.

Note di produzione: il film è stato selezionato per il trentatreesimo Festival Internazionale del Cinema di Mosca, la colonna sonora è stata composta a quattro mani da Johnny Klimek & Reinhold Hail (Profumo-Storia di un assassino).