Professione assassino, recensione in anteprima

Arthur Bishop (Jason Statham) è un killer prezzolato metodico, solitario e molto richiesto che si è costruito una solida fama grazie al suo distacco emotivo e alla capacità di adattarsi a complicazioni impreviste, pianificando in modo decisamente creativo e minuzioso ogni lavoro affidatogli a seconda di come la dipartita dell’obiettivo dovrà apparire, con varianti che vanno dal suicidio all’incidente.

Arthur non ha amici e frequenta regolarmente una prostituta con cui oltre al sesso non condivide nulla, l’unica cosa che sembra avvicinarsi più ad un amico è il suo contatto Harry McKenna (Donald Sutherland) che purtroppo dovrà ben presto eliminare perchè divenuto pericoloso traditore per i suoi datori di lavoro.

L’amico Harry però ha un figlio, l’irrequieto Steve (Ben Foster) che Arthur incontrerà per caso e a cui insegnerà i trucchi del mestiere non rivelandogli mai di aver dovuto eliminare il padre, ma quando si scoprirà che Arthur è stato ingannato a proposito del tradimento di Harry, entrerà in gioco la vendetta e la faccenda diventerà giocoforza una questione personale.

Il regista Simon West con all’attivo l’ottimo Con Air e il debutto su grande schermo dell’eroina da cinegame Lara Croft, a cinque anni dal thriller-remake Chiamata da uno sconosciuto si cimenta con The Mechanic, altro rifacimento che rivisita il classico datato 1972 Professione assassino sostituendo il roccioso Charles Bronson con l’altrettanto roccioso Jason Statham, riuscendo a confezionare un discreto action-thriller insolitamente contenuto nella parte più dinamica e come accaduto nel recente Faster con Dwayne Johnson, puntato ad omaggiare un certo filone americano anni ’70 fatto di solidi protagonisti impegnati in intriganti mix di action, melodramma e thriller.

West come peraltro accaduto ne La figlia del generale gestisce con dovizia il genere supportato da un originale ancora oggi degno di nota, il film nella sua fisiologica prevedibilità scorre seza intoppi e con sequenze action ben coreografate con qualche eccesso solo verso il finale, ma niente di non digeribile anche grazie alle  performance piuttosto credibili sia di Statham che del giovane collega Ben Foster, Sutherland purtroppo subisce la stessa sorte riservatagli nel remake The italian job con qualche battuta d’ordinanza e una veloce e alquanto repentina dipartita.

Note di produzione: l’originale del ’72 è famoso per una lunga sequenza d’apertura, circa 16 minuti, completamente priva dialoghi (video in coda al post), dietro la macchina da presa il regista Michael Winner che due anni dopo dirigerà ancora Bronson nel primo film della serie Il giustiziere della notte.