The Hateful Eight, il ritorno di Quentin Tarantino

Quentin Tarantino torna con The Hateful Eight, suo secondo western ed ottavo film. L’autore americano prosegue dunque sulla strada tracciata da Django e sorprende sulla strada per Red Rock una diligenza in fuga dai fantasmi della guerra civile.

Per l’occasione Tarantino ripristina l’Ultra Panavision 70, glorificazione dello spazio orizzontale, formato abbandonato nel 1966 non tanto e non solo per distendere i paesaggi del Wyoming ma per filmare le interazioni degli attori dentro uno spazio chiuso. Riparati in un rifugio e disposti come pedine su una scacchiera, gli otto hateful di Tarantino agiscono in primo piano e sullo sfondo.

I due livelli di visione consentono allo spettatore di non staccare mai gli occhi dai personaggi e dalla relazione che ciascuno di loro intrattiene con l’altro, in un clima di paranoia che sale di scena in scena. Spinti da un vento polare in un ricovero alla fine del mondo e separati dal mondo, i nostri non smettono di mostrarsi a vicenda documenti, lettere, mandati, ordini di missione, avvisi di ricerca per provare che sono esattamente chi dicono di essere. Tuttavia i dubbi restano e maturano tra una tazza di caffè e un goccio di cognac. Sceriffi designati, cacciatori di taglie, cowboy nostalgici, generali in pensione, gangster nomadi, burocrati forbiti, ex soldati incazzati, bianchi, neri, messicani, confederati e unionisti, non manca davvero nessuno nella nuova opera di Tarantino.

La tensione sale lenta dalle piste innevate e si addensa nel rifugio, accomodandosi su poltrone ‘macchiate’ e avvolgendosi intorno al maggiore di Samuel L. Jackson che alla maniera del dottor Schultz di Christoph Waltz, rivela la sua natura tarantiniana, dominando la parola e le armi.

Mediatore tra il film e lo spettatore, Jackson distrae l’occhio mentre l’azione continua e ‘avvelena’ l’ambiente, caricando di indizi e pallottole le colt. L’intrigo avanza con la meticolosità di un’istruttoria giudiziaria in cui il silenzio è d’oro e la parola parla per ridistribuire i ruoli simbolici dell’avvocato, della vittima, del sospettato. Il film di Tarantino finisce allora per essere simile a un tribunale che chiacchiera di impiccagioni, omicidi legali, legittima difesa, normalizzazione della violenza, messa a punto della giustizia. Ma di quale giustizia si tratti, al di là del Cristo misericordioso seppellito dalla neve nel piano iniziale, lo comprendiamo presto al cospetto di un branco di iene riunite per ‘deliberare’ chi meriti la vita. Evidentemente nessuno.