The Flowers of War, recensione in anteprima

John Miller (Christian Bale) è un americano addetto alle sepolture che arriva a Nanchino per seppellire un prete straniero a capo di un convento per ragazze cinesi cattoliche, subito dopo che la città è stata bombardata e invasa dalle forze giapponesi. Poco tempo dopo il suo arrivo al convento, un gruppo di prostitute provenienti dal locale quartiere a luci rosse decide di cercare riparo in quello stesso luogo e lo trovano in una cantina dell’edificio.

Mentre le prostitute si nascondono in cantina, Miller si ritrova ad indossare i panni di sacerdote per  proteggere le studentesse adolescenti dalla brutalità dei soldati nipponici, ma l’abito talare non basterà a far da scudo contro la bestialità di un esercito invasore senza freni e così una studentessa perderà la vita, mentre le altre subiranno violenza.

Grazie ad un eroico cecchino dell’esercito cinese e ad un colonnello giapponese (Atsuro Watabe) la violenza sulle ragazze si fermerà, ma il pericolo incombente per tutte loro porterà Miller a cercare l’aiuto di Mr. Meng (Cao Kefan), un collaborazionista cinese che è anche il padre di una delle studentesse, il piano è di riparare un vecchio camion, trovare dei lasciapassare e riuscire portare le ragazze fuori da Nanchino prima che sia troppo tardi.

Imponente, sontuoso ed emotivamente sovraccarico, così si presenta il kolossal di Zhang Yimou che approccia il dramma a sfondo bellico raccontando del Massacro di Nanchino, perpetrato dall’esercito giapponese nel 1937 durante la seconda guerra sino-giapponese.

Yimou a quattro anni dal fastoso La città proibita miscela con nonchalance melodramma, brutalità, retorica nazionalista ed un afflato epico a tratti ridondante che lo porta a trasformare il nemico in un mostro spietato, violento e prevaricatore le cui azioni in alcune sequenze, vedi quella dell’assalto alla chiesa, sono davvero difficili da metabolizzare per la sin troppa schiettezza della messinscena.

Particolarmente azzeccata è stata la scelta di Christian Bale nei panni dell’eroe per caso, nelle prime sinossi ufficiali del film pervenute non si parlava del suo personaggio come di un falso sacerdote, quindi la scelta dell’attore nel ruolo di un prete ci aveva creato non poche perplessità, poi la scoperta dell’effettivo ruolo ricoperto, quello di un becchino truffaldino e disilluso con una passione per la bottiglia che si trova ad indossare la tonaca per necessità.

Bale che di personalità tormentate e borderline fa virtù riesce a rendere credibile questa improbabile metamorfosi che non fa del suo personaggio di certo un santo, ma ne risveglia un credibile lato paterno e una coscienza sopita che urla e si ribella di fronte alle atrocità perpetrate di fronte ai suoi occhi, non più velati dal troppo bere, ma ben aperti e spalancati di fronte all’orrore della guerra.

The Flowers of War nonostante qualche eccesso di ridondante retorica e un uso smodato di rallenti e violenza resta un film che ha molto da regalare sia visivamente che emotivamente, Yimou non si limita a raccontare i fatti, ma dona una forte carica emotiva alla messinscena non avendo alcun timore nel mostrare la brutalità della guerra in tutte le sue efferate digressioni, un film che nella sua umanissima imperfezione, in netto contrasto con una tecnica a dir poco sopraffina, mette in risalto una sua poetica che travalica i terribili crimini di guerra narrati nel tentativo esplorare la natura umana e lo spirito di sacrificio, visto non solo come forma di redenzione, ma come puro e altruistico atto d’amore.

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Note di produzione: il film, che è uscito in Cina in concomitanza con il settantaquattresimo anniversario del Massacro di Nanchino, ha fruito di un budget di 95 miliioni di dollari; la sceneggiatura è basata sul racconto 13 Flowers of Nanjing di Geling Yan.

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