La rabbia di Marv

Sfido chiunque a rimanere in una stanza con Marv per qualche minuto e a non sentirsi in una situazione di costante minaccia. Io, qui a Sin City, ne vedo di squinternati, se imbocchi il vicolo giusto, ne vedi quanti ne vuoi. A volte sono loro che imboccano il mio vicolo, e si vengono a confrontare con le loro paure, o lo schifo che provano per se stessi.

Lo scopo? La speranza di vedere questi sentimenti orrendi personificati, in carne ed ossa, al fine di poterli gambizzare, per poterli veder agonizzare; io qui sono solo un disperato; tutto è in bianco e nero, piove nel mio studio quando piove fuori, come per dire che non c’è proprio modo di cavarsela, qualsiasi sia la situazione di partenza.

Il mio non è un lavoro, il mio è un supplizio. Facce come quella di Marv rendono ancora più greve il mio soggiorno qui a Sin City. Lo guardo e lo ascolto mentre mi dice che la morte di Goldie lo ha distrutto. Mentre la sua voce roca esce dalla fossa delle marianne della sua anima, mi aggiro lungo i solchi innaturalmente netti del suo volto.

Mi terrifica l’idea che potrebbe arrabbiarsi e ridurmi in poltiglia con le sole mani; non vuole farlo, ma potrebbe scattare in ogni momento; non ci sono aspetti misteriosi in quello che mi racconta; l’unico aspetto che risulta ancora misterioso è la sua origine.

Mi racconta del suo presente, e io faccio ipotesi sul suo passato. Mi chiedo dove cazzo possa portare il suo compulsivo fumare, imprecando, mentre mi chiede aiuto per stare bene. Meno male che in quesa merda di città ho accesso praticamente a qualsiasi tipo di farmaco.

Posso ridurre uno come Marv come un agnellino a colpi di pasticche, affondo la mia mano in un secchio multicolore, estraendone un pugno ricolmo di gioia e di tranquillità; mangia psicofarmaci come se ci trovassimo a un aperitivo.

Non c’è segno di monocromia nell’amore sincero e puerile che prova per Goldie; dopo che lei gli ha donato una notte d’amore, è stata uccisa, e lui non iresce a darsi pace; e io che ci posso fare? Forse molto, forse niente, l’unica cosa che so è che ho bisogno di fottuti soldi, e che Marv ha bisogno di me, un estremo bisogno.

Sono una bottiglia di whiskey di settanta chili, sono una dose letale di morfina, sono la salvezza del gigante che mi trovo di fronte, sono la sua nemesi e la sua rovina; non c’è niente ch’io possa realmente fare, l’unico aspetto su cui posso intervenire è la sedazione della sia rabbia furiosa.

Il secolo sbagliato: questo è il fottuto problrma. Marv dovrebbe starsene nel passato, facendo del massacro e della guerra la sua professione e il suo piacere, senza la necessità di riempirsi di cerotti apparenti per giustificare la propria emarginata bestialità.

Allora altro che psicofarmaci: vorrei essere un’arena piena di guerrieri su cui farlo combattere, così potrebbe sfogarsi in via del tutto definitiva, potrebbe spassarsela brandendo un’ascia bipenne, uccidendo tutto ciò che gli capita a tiro. Anche il suo male.