Rocky, recensione

Rocky Balboa (Sylvester Stallone) è un pugile di mezza tacca che sbarca il lunario recuperando crediti per uno strozzino locale e partecipando ad alcuni incontri per dilettanti in quel di Philadelphia, allenandosi nella palestra del burbero ex-pugile Mickey Goldmill (Burgess Meredith) che un bel giorno lo scarica cacciandolo dalla palestra e dandogli del perdente.

Rocky però non molla, sente che la boxe è la sua ragione di vita come sa che presto lo diventerà anche una timidissima ragazza di nome Adriana (Talia Shire) di cui è innamorato e che lavora in un negozio di animali del quartiere.

Adriana è la sorella di Paulie (Burt Young) un amico che frequenta lo stesso bar di Rocky, Paulie tampina Rocky affinchè gli rimedi un lavoro come esattore così che possa abbandonare il magazzino di carni dove è impiegato, questo spingerà Paulie a far uscire quasi con la forza la sorella con Rocky e così tra i due nascerà l’amore.

Sembra che la vita di Rocky sia destinata a seguire un percorso defilato, ma invece il destino gli pone di fronte l’occasione di una vita, dopo il forfait del suo avversario il campione dei pesi massimi Apollo Creed (Carl Weathers) in cerca di pubblicità, offre ad un pugile di Philadelphia nel Giorno del ringraziamento l’occasione di sfidarlo sul ring davanti a milioni di persone e quell’occasione di una vita capiterà proprio a Rocky cambiandogli per sempre la vita.

Difficile trovare difetti in quella che si presenta come una perfetta parabola del sogno americano intrisa di cuore, sangue e sudore, Stallone che ha scritto di suo pugno la sceneggiatura si ritaglia un personaggio che diventerà un’icona in celluloide e lo catapulterà ad Hollywood trasformandolo in un divo, un’occasione che ancora oggi dopo oltre trent’anni e cinque film riesce a coinvolgere ed emozionare milioni di spettatori.

All’epoca Stallone rifiutò di vendere il suo script se non con la clausola di poter interpretare egli stesso il protagonista, ma i produttori  non avevano certo intenzione di rischiare miloni di dollari su un attore sconosciuto, già si pensava a Burt Reynolds o James Caan per il ruolo, ma Stallone la spuntò e oltre a bancare i botteghini il film vinse tre Oscarm tra cui miglior film e miglior regia battendo pellicole del calibro di Taxi Driver, Quinto Potere e Tutti gli uomini del Presidente.

A dirigere lo script di Stallone venne chiamato il regista John G. Avildsen (Salvate la tigre), che capì appieno la miscela vincente di ingenuità e passione che sarebbe arrivata dritta al cuore dello spettatore e costruì il film in maniera impeccabile, con le fasi dell’allenamento e dell’incontro finale accompagnate dalla memorabile colonna sonora di Bill Conti, elementi che diventeranno negli anni successivi un marchio di fabbrica della serie. Avildsen capita la potenzialità della ricetta ne ripropose molti anni dopo i medesimi ingredienti, stavolta in formato family-movie nella serie Karate Kid che figliò ben tre sequel e un notevole successo commerciale.

Note di produzione: per lo script Stallone si ispirò ad un match che vedeva contrapposto il campione Muhammad Alì e il semisconosciuto Chuck Wepner e alle gesta sportive del pugile italo-americano Rocky Marciano, Avildsen tornerà a dirigere Stallone nella quinta puntata della serie, la voce italiana di Stallone nel primo film era di Gigi proietti, il film costato poco più di un milione di dollari alla sua uscita ne incassò oltre 225.

Rocky: In fondo chi se ne frega se perdo questo incontro, non mi frega niente neanche se mi spacca la testa, perché l’unica cosa che voglio è resistere, nessuno è mai riuscito a resistere con Creed, se io riesco a reggere alla distanza e se quando suona l’ultimo gong io sono ancora in piedi, se sono ancora in piedi io saprò per la prima volta in vita mia che, che non sono soltanto un bullo di periferia.